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martedì 22 settembre 2015

Genova nel 1647, Compagnia delle Indie

DA ANONIMO, GENOVA NEL XVII SECOLO
Nel XVII secolo a Genova per le guerre, le rivoluzioni, le bancarotte spagnole si soleva, come riporta Claudio Costantini, dire che “chi ha danari non sa dove metterli a frutto“.
In relazione a ciò si erano spalancate le porte per un ritorno di Genova nel commercio internazionale e ” in specie nell’Indie orientali “.
Essendo i portoghesi d’accordo con gli olandesi si potria trafficare senza pericolo ne’ porti di tutti due e da quelli passar nell’America a’ porti de’ Castigliani “.
La guerra alla pirateria che infestava il Mar Ligure era un compito impellente, eppure risultava necessario contemplare il ruolo che i mercanti genovesi avrebbero potuto ricoprire in un’Europa ritornata pacificata.
La Memoria trascritta dal Costantini riportava i vari obiettivi che per un periodo anche di 15 anni avrebbero costituito il nocciolo del confronto politico: l’istituzione di una scuola navale come si usa in Lisbona et Amsterdam, il ritorno dei genovesi in Levante e quindi il ristabilimento di normali relazioni diplomatiche con l’Impero turco, l’impostazione di utili relazioni con l’Inghilterra e l’Olanda, una peculiare attenzione per l’area portoghese che, in forza del distacco dalla Spagna, si apriva all’ influenza genovese.
Questo Memoria, senza le fantasie di consimili e priori scritti, guardava al concreto e ipotizzava un programma operativo che nel 1647 avrebbe trovato fondamento storico nella istituzione della Compagnia genovese delle Indie Orientali.
A siffatta Compagnia sarebbe toccato il compito di “aprire navigatione et traffico di mercantie nelle Indie Orientali, in particolare nel Giappone, suoi vicini et altri luoghi liberi et praticabili“.
Il modello che l’istituzione voleva seguire era quello dell’ Olanda.
Per conseguenza di ciò la Compagnia genovese acquistò in Olanda anche i suoi due vascelli e sempre ad Amsterdam si premurò di far reclutamento di ufficiali e marinai olandesi.
Inoltre si affidò più che all’amicizia quanto meno alla tolleranza delle autorità olandesi la riuscita de1 viaggio nei mari orientali.
La fiducia genovese non venne tuttavia pagata con buona moneta.
Allorquando raggiunsero l’Arcipelago della Sonda, le navi della Compagnia furono catturate e condotte a Batavia.
Anche gli ufficiali e i marinai olandesi non evitarono le violenze dei connazionali sì che furono imbarcati con la forza su bastimenti della loro stessa nazione.
Invece i mercanti e i componenti genovesi dell’equipaggio rispediti in patria.
Nel dicembre del 1650o giunse quindi notizia in Genova che le due navi risultavano esser state fatte miseramente perire.
L’isolamento diplomatico aveva colpito il governo genovese sin da quando aveva fatto intendere di voler lasciare l’onerosa “protezione spagnola”.
Per liberarsi dalla scomoda condizione di isolamento Genova puntò in particolare su quelle potenze emergenti come l’Inghilterra e l’Olanda che avevano inaugurato i modelli del nuovo corso.
Per ridare vigore alla marina genovese sembrava indispensabile ottenere da queste potenze un energico soccorso in termini di navi, marinai, ufficiali capaci.
Le illusioni dei genovesi avevano fatto fin troppa strada ma in effetti a prescindere da una buona corrispondenza con la Repubblica e dai proclami ufficiali di amicizia, olandesi e inglesi non intendevano sbilanciarsi troppo .
L’episodio delle due navi della Compagnia genovese delle Indie catturate proprio dagli olandesi a Batavia per molti versi risultava emblematico.
I favori degli olandesi non avevano valicato i confini della formalità ed in fondo risultavano testimoniati soltanto dal fatto che in tale circostanza i genovesi imbarcati sui due vascelli erano tornati in patria senza aver patito danni fisici.
E risulta parimenti emblematica la vicenda dei quattro vascelli acquistati dalla Repubblica in Olanda.
Nonostante le difficoltà incontrate la Compagnia delle Indie non fu sciolta ma evolse nella Compagnia Marittima di San Giorgio.
La Compagnia di San Giorgio ottenne anzi dal governo e dalla Casa di San Giorgio, nuovi privilegi e ragguardevoli fianziamenti.
Verso la metà esatta del XVII secolo gli stessi personaggi si interscambiarono i ruoli nella gestione della Compagnia e delle magistrature navali della Repubblica.
Nella Compagnia di San Giorgio, si riscontravano tutti i simpatizzanti della fazione navalista e dei gruppi sociali che la sostenevano.
Già i capitoli istitutivi della Compagnia genovese presupponevano un intimo legame dell’istituzione con le scelte governative.
Su ciò risultavano palesi segnali i riferimenti alla lotta anticorsara, alla primaria funzione della Compagnia per la reintroduzione dell’ arte marinaresca in Genova, grazie soprattutto all’istituzione di scuole nautiche per li ufficiali, e all’importanza di curare la riqualificazione della gente di mare.
Inoltre i progetti iniziali della Compagnia prevedevano l’uso congiunto dei propri vascelli e di quelli che la Repubblica stava procurandosi in Olanda.
Se la Compagnia delle Indie aveva tentato di innestarsi nell’area coloniale olandese, quella di San Giorgio tentò di esperimentare, avvalendosi dell’ausilio di fidati padri gesuiti, le possibilità concesse dal Portogallo, cui erano carenti sia navi che danari al fine di potenziare i traffici con le colonie.
I genovesi erano in grado di fornire le une e gli altri e così inserirsi in un ricco settore degli indiani commerzi.
Nel 1655 scrissero alcuni dirigenti della Compagnia ai loro agenti di residenza a Lisbona: “Gia si è dato principio ad ordinare la compra di cinque navi … et havendo anco la Republica Serenissima armato quattro galeoni da guerra che giaà sono in Genova per convoiare et assicurare quelle navi di mercantia che ne havessero per loro securezza di bisogno, potranno detti galeoni servire ancora per augumentare il numero delle navi della Compagnia. Se di Portogallo donque vi fusse pari disposizione, si potrebbe qui far capitali per adesso di 6 in 8 navi ben corredate e di maggior numero in avvenire“.
Anche in questa circostanza molte speranze alimentate sarebbero andate disattese.
Infatti gli inglesi controllavano quasi tutte le opportunità sperate, mentre i genovesi dovevano scontare la propria inesperienza.
Le navi della Compagnia, mandate alla ventura, senza effetti, né crediti e senza ordini bastanti si consumavano nella snervante attesa di carichi destinati a mai giungere.
Dopo tanti audaci progetti sopravvisse appena la partecipazione di due navi della Compagnia ad un convoglio per il Brasile, che si concluse per altro con un notevole passivo.
La Compagnia tuttavia sopravvisse a lungo, pur se più per la difficoltà di liquidare in modo decoroso l’impresa, che per la speranza di risanarla.
Alla fine la Casa di San Giorgio prese distanza da quella che nonostante tutto era da giudicarsi (come scrive il Costantini) “una sua creatura“.
I vascelli della Repubblica, nel quadro del generale ripiegamento sulle vecchie rotte mediterranee, seguito all’insuccesso portoghese, furono impiegati prevalentemente nei viaggi di Spagna, parzialmente in sostituzione delle galee.
La loro storia si identificò quindi in definitiva con l’esperienza della navigazione convogliata che la Repubblica pose finalmente in atto a protezione di alcune vitali, ma tradizionali correnti del traffico genovese.

da Cultura-Barocca