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domenica 21 maggio 2017

Il Visconte che portò in Francia la Venere di Milo

Nel Volume III delle sue "Rimembranze" il Visconte di Francia Plenipotenziario di Marcellus (vedine qui l'avventurosa vita) redasse una fascinosa relazione che si legge a pagina 158 di questo stesso volume in merito alla sua scoperta della pianura ove sorse Troia ("Eccomi a Troia! doveva compiersi dunque questo sogno della mia giovinezza. Doveva dunque contemplar le ruine d'Ilio!..."), argomento corredato di testo e cartografia e di cui nei volumi editi compare una stampa della piana di Troia).
Era questa un'epoca di grandi esplorazioni e grandi scoperte di cui son rimaste straordinarie relazioni di tanti autori, qui digitalizzate e consultabili ed il "Visconte di Marcellus", sulla scia di questa grande tradizione per i viaggi nell'esotico aveva senza dubbio primeggiato ottenendo molti altri risultati prestigiosi esplorando archeologicamente le isole dell'Egeo.
Nelle sue avventurose peregrinazioni fu in particolare conquistato da Rodi la bella isola greca delle rose e dei canti d'amore. Il Marcellus trascrisse canzoni di Cristopulo, l'Anacreonte della Grecia Moderna e alcune inedite opere definite travondiesi, particolari, struggenti e spesso estemporanei canti d'amore sconosciuti in Europa e perlopiù cantati dalle donne, tra cui la composizione intitolata "Di lagrime mi pasco e soffro e gemo". Della splendida isola lo affascinavano tra l'altro sia il ricordo della storia antica (in qualche modo simboleggiata da Apollo e dall'effige della Rosa) quanto delle tragiche vicende moderne caratterizzate anche dalle gesta dei cavalieri che ne presero il nome e la difesero contro l'espansionismo turco e sul cui destino egli stesso raccolse e trascrisse notizie altrimenti destinate all'oblio.
Ma il successo più eclatante del Visconte di Marcellus, che lo rese celeberrimo meritandogli l'appellativo di Winckelmann francese, fu nell'isola isola di Milo dove - grazie ai suoi rapporti con la Sublime Porta di Costantinopoli capitale dell'Impero Turco - ebbe la sorte di acquistare per il Museo del Louvre (1820) uno dei miti dell'umanità, la Venere di Milo, archetipo sovrumano della già leggendaria bellezza delle fanciulle di Milo. Il pensiero che egli scrisse, definendolo come il primo che formulò alla visione della statua, fu "....Io non sapeva saziarmi di contemplare quella bellezza sovrumana...." .
Pare superfluo dire che questi (ed altri successi) che andavano coronando le gesta degli esploratori francesi urtava il mondo accademico britannico (in forza di una competitività culturale che era anche riflesso di recenti eventi politici, diplomatici e guerreschi) sì che l'impresa in Asia di A. Burnes, che scoprì le tracce dell'Impresa di Alessandro Magno, passò per Samarcanda, perlustrò l'Indo e scoprì le tracce di antiche relazioni tra occidente ed orienteassunse (peraltro giustamente) i toni di una altrettanto straordinaria vicenda ai limiti dell'impossibile.

Cultura-Barocca