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sabato 27 maggio 2017

"Le Imagini de gli dei de li antichi "

Illustration from Le imagini de i dei de gli antichi nelle qvali si contengono gl’idoli, riti, ceremonie, & altre cose appartenenti alla religione de gli antichi, 1571, by Vincenzo Cartari (Houghton Library)
Le scarse notizie sulla vita di Vincenzo Cartari (Reggio Emilia 1531- dopo il 1571), noto esclusivamente per la sua opera più famosa, "Le Imagini de gli dei de li antichi ", sono raccolte da Seznec e Palma, a cui si aggiungono i pochi accenni biografici contenuti nelle dedicatorie apposte alle sue opere. Nella prefazione alla traduzione dei "Fasti "di Ovidio (Modena 1551), Cartari ricorda che il legame della sua famiglia agli Estensi risale ai tempi di Ercole I e a Luigi d'Este è dedicata la prima edizione delle "Immagini" del 1556. A Ferrara risiedette dunque stabilmente almeno fino al 1561 quando Bartolomeo Ricci da Lugo si congratula con l'umanista per essere entrato nella corte di Ippolito d'Este. Con il cardinale si recherà di li a poco in Francia (1561-1563), nel corso di una missione per conto di Paolo IV . Nel 1571 dovette recarsi a Venezia «per arricchire e abbellire» il suo testo di nuove immagini (prefazione all'edizione di Venezia del 1571) e qui entrò nella cerchia di Anton Francesco Doni e della sua fantomatica Accademia dei Pellegrini , secondo quanto afferma lo stesso Doni nella "Libraria" (Venezia 1557: 103). "Le Immagini degli Dei" restano l'opera principale del Cartari, il cui successo è attestato dalle ben quindici traduzioni che si succedettero dal 1556 al 1615, accanto ad esse, vanno ricordate, I "Fasti di Ovidio tradotti dalla lingua volgare" (Venezia 1551, F. Marcolini), "Il Flavio, intorno ai Fasti volgari" (Venezia 1555, G.Scotto) e il "Compendio dell'historia di monsignor Paolo Giovio di Como fatto per M.Vincenzo Cartari "(Venezia 1562, Giolito de'Ferrari).

L'opera di Cartari deve la sua notorietà soprattutto al carattere manualistico dato dall'autore alla sua trattazione mitografica; le fonti usate spaziano da Filostrato, Pausania , Omero , Virgilio , Ovidio, Catullo , Plinio, fino ad Apuleio e Macrobio , ma a ben vedere molti di questi autori non sono citati in modo diretto bensì attraverso il tramite di più noti umanisti della generazione precedente, i quali avevano studiato e composto le loro opere ai tempi assai più felici di Giulio II e Leone X : Celio Calcagnini , Pietro Appiano, Alessandro degli Alessandri, Pierio Valeriano , ma soprattutto Lilio Gregorio Giraldi a cui deriva la maggior parte del materiale, tanto che già Lessing considerava le Immagini come una sorta di edizione tascabile del Giraldi. Rispetto alle fonti Cartari si pone come traduttore e soprattutto sistematore di un materiale vastissimo, frutto dell'erudizione umanistica passata, con il proposito di «giovare non poco alli dipintori e agli scultori, dando loro argomento di mille belle inventioni da poter adornare le loro statue e le dipinte tavole» (Prefazione di F. Marcolini all'edizione di Venezia 1556). La seconda edizione, del 1571, risulta accresciuta e soprattutto arricchita di tavole incise da Bolognino Zaltieri, ma sorprende constatare come l'illustratore che pure doveva conoscere Pirro Ligorio e dunque l'ambiente di antiquari attivi a Roma presso gli estensi, non si sia dato la pena di controllare le fonti iconografiche classiche preferendo ricostruire le descrizioni del testo alla lettera o attingere agli stessi repertori usati dall'autore: le "Inscriptiones sacrosanctae vetustatis" di Appiano, gli Emblemata di Alciati, gli "Hieroglyphica" di Pierio Valeriano, la "Theologia Mythologica" di Georg Pictor e i compendi di medaglie di Agustin, Sebastiano Erizzo e Guillame Du Choul.
Ne risultarono immagini composite, prive di coerenza formale, a volte mostruose e inquietanti, e i cui effetti negativi sulla pittura della seconda metà del XVI secolo risultano evidenti soprattutto in artisti minori che non seppero reinterpretarle. Grazie anche ai consigli di teorici e trattatisti quali Armenini e Lomazzo che nel manuale videro la possibilità di dare una regola alla trasmissione e recezione delle iconografie pagane, l'influenza delle prime due edizioni fu comunque immediata e assai vasta: in area fiorentina le "Immagini" ricompaiono ad esempio nel programma di Vincenzo Borghini per l'apparato del 1565 in occasione del matrimonio di Francesco de' Medici e Giovanna d'Austria, nei disegni di Bernardo Buontalenti per il "Primo intermezzo" del 1589 (Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e Stampe, nn. 26666-2945 e Biblioteca Nazionale) nella bronzinesca "Allegoria della Felicità" degli Uffizi.

In ambiente veneto ritroviamo gli dei di Cartari negli affreschi del Veronese per la Sala del Consiglio dei Dieci in Palazzo Ducale e per la Villa Barbaro Maser ed in quelli di Tintoretto per la Sala dell'Arcicollegio di Palazzo Ducale; in ambito romano sono ben noti gli esempi di Caprarola , con gli affreschi di Taddeo Zuccari per la Sala dell'Aurora e di Federico Zuccari per quella dell'Ermathena, nonché di Jacopo Zucchi a palazzo Rucellai . Infine a Bologna il testo venne usato da Bartolomeo Cesi per una decorazione in Palazzo Magnani ("Arpocrate e Angerona" e "Eros e Anteros") e da Annibale Carracci (in collaborazione con Innocenzo Tacconi) per alcuni particolari della Galleria Farnese e per i camerini del cardinal Farnese nei dipinti raffiguranti la "Notte" e l'"Aurora", oggi a Chantilly, Musée Condé. 

Nel 1615 vede la luce una nuova edizione delle "Immagini", corredata di nuove illustrazioni, prefazione e apparato scientifico, ad opera dell'erudito antiquario Lorenzo Pignoria (Padova 1571, poi 1631) che prese l'occasione per inserire una nutrita serie di oggetti antichi: statue, statuette, monete, cammei, oggetti esotici, tratti dalla sua collezione e da quelle che aveva potuto osservare tra Padova, Roma e la Francia, ove risiedeva l'amico Peiresc. Al testo di Cartari l'erudito padovano aggiunse due sezioni, una dedicata al nuovo materiale antico, ed una alle immagini degli Dei indiani, trasformando così il manuale divulgativo in una sorta di strumento di ricerca ad uso degli studiosi dell'antico e contemporaneamente di promozione delle collezioni private dei suoi amici. La storia di questa edizione, documentata da scambi di lettere e disegni che vedono coinvolti Girolamo Aleandro, Peiresc, Paolo Gualdo, Pinelli e Welser, diventa così lo specchio di un mondo culturale nuovo che fa dello scambio epistolare e, soprattutto, della circolazione di immagini, uno strumento di indagine conoscitiva, tentando di aprire spiragli in quel sistema codificato di fonti e figure prestabilite che era stata la prerogativa del successo di Cartari. 

Questa operazione in un certo senso fallì, in quanto la diffusione del testo corretto da Pignoria fu incomparabilmente minore rispetto a quella ottenuta dall'edizione del 1571 e lo spazio lasciato vuoto fu invaso da un nuovo manuale che costituiva l'antitesi di quello del padovano: l' "Iconologia " (Roma 1593). Nel corso del XVII secolo, malgrado la concorrenza del Ripa, le Immagini di Cartari continuarono ad esercitare una certa influenza, anche se meno eclatante, ricomparendo ad esempio in Rubens (Borea e Orizia dell'Accademia di Vienna e gli Orrori della guerra di Firenze, Pitti) il quale prese spunti dall'edizione del 1615, pur unendola ad altre fonti quali Natale Conti; Poussin le tenne presenti per i suoi Baccanali Richelieu e persino Ribera nel Sileno ebbro eseguito per Gaspar Roomer e oggi a Napoli, Capodimonte, ripropose la rara iconografia di Pan con la conchiglia e la tartaruga quale è descritta e illustrata unicamente nel testo di Cartari.