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giovedì 17 agosto 2017

Sull'emigrazione italiana in Argentina: la zona di Rosario

Rosario (Argentina), il Palazzo di Giustizia in Piazza Martin nel XIX secolo - Dall'Archivio Fotografico del Museo della Canzone di Vallecrosia (IM)

Nella città di Rosario, sin dal 1848, cioè sin dal suo nascere, aveva avuto prevalenza l'elemento italiano su tutta la collettività cosmopolita che costituì la sua compagine sociale. Nel 1858, su una popolazione totale di novecentosettantotto persone contava ottocentotrentasei Italiani che salirono alla cifra di 2940 nel 1871 ed a quasi seimila nel 1876.
E poiché fino dal 1871 l'Agenzia consolare di Santa Fé era stata annessa a quella di Rosario, la popolazione italiana delle due città, dei sobborghi e quintas (orti) condotti da connazionali, e delle quaranta colonie agricole attornianti la città, si calcolava da dodici a quindicimila anime.
L'emigrazione italiana verso questo centro d'affari era sempre stata crescente. Il nostro console in Rosario, Luigi Petich, volle nel 1870 fondare alcune colonie nelle vicinanze della città. Ad una di esse pose nome Nuova Italia, ed era situata sul Rio Parana a quattro leghe da Rosario, con quindici famiglie ed ottanta persone tutte italiane. All'altra diede nome Nuova Spagna. Ma tutte e due dovettero fondersi insieme e nessuna delle due divenne prosperosa come il Petich aveva sperato.
Nel 1870 veniva creata ancora la colonia Jesus Maria, la più fertile e la più importante del dipartimento Iriondo-Rosario. S'estendeva per cinque leghe lungo la costa del Rio Parana, ed in un campo dove due anni prima pascolavano solo gli armenti, nel 1872 si formò un villaggio fiorente con un tempio così bello che neppure Rosario ne possedeva uno simile. (Su 950 persone, componenti 180 famiglie agricole, 768 erano italiane, 130 argentine, 52 francesi).
Alcune di queste famiglie meritano speciale menzione. La famiglia Grasso giunta nel 1869 dal Piemonte a Montevideo, passò successivamente nella colonia Jesus Maria. Contrasse un debito coloniale ma riuscì a liberarsene; acquistò varie concessioni, fabbricò case, introdusse strumenti e macchine agricole e s'arricchì. Nel 1872 raccolse duecennto fanegas (circa 220 quintali) di granoturco e frumento di ottima qualità. La famiglia Pastore, pure piemontese, giunse alla colonia San Carlos, ove dimorò otto anno. Passò poi nel 1870, a Jesus Maria dove s'arricchì e dove attirò altri Italiani. Nel 1872 possedeva già alcune case, un mulino e diverse cuadras coltivate ad orto ed a frutteto. In quest'anno con semenza di venti fanegas di grano (22 quintali circa) ne raccolse trecento, nonostante la perdita di un terzo del raccolto guastato dalle piogge. Il mulino Pastore mosso da muli, macinava il grano per tutta la colonia.
La famiglia Fraire giunse nel 1868 anch'essa dal Piemonte; acquistò due concessioni nella colon di San Carlos dove rimase un anno e mezzo. Passò poi a Jesus Maria ove acquistò tre altre concessioni. Nel 1872 questa famiglia era proprietaria di due case, di una mascalcia, e di un podere. In quell'anno raccolse duecento fanegas di grano e trecento di granoturco.
La famiglia Colmeno era invece d'origine lombarda. Giacomo Colmeno arrivò a Santa Fé nel 1871 con passaggio gratuito. Andò subito alla colonia Corondina e nel giugno dello stesso anno a Jesus Maria. Ebbe anticipazioni dai proprietari e secondato dalla fortuna, raccolse in breve circa settecento fanegas di grano, seicento delle quali vendette in una sola volta al prezzo di quattro boliviani (16 lire) la fanega. Possedeva cinque concessioni, due ranchos, animali e macchine.
Alberdi è un paesello che dista pochi chilometri da Rosario, e nel quale i ricchi dell'industre città hanno costruite ville, alcuni per trascorrervi qualche mese d'estate ed altri per passarvi tutto l'anno. Fu fondato dall'italiano Puccio. Superiore ad ogni elogio fu la fabbrica di mattonelle che, iniziata da solerti e laboriosi Italiani (Pederzini Edoardo, Malagosi Vincenzo, Della Mora Pietro e Sante Civilotti) si è trasformata in un grandioso stabilimento industriale. Un nostro ricco connazionale, Guglielmo Malberti di Novara, garibaldino del 1866, fu l'anima della commissione edilizia di questo paesello. Un giorno Rosario distaccherà in Alberdi il club delle regate.
Nelle altre province dell'Argentina il movimento migratorio italiano fu più lento e si rese sensibile ed evidente solo immediatamente dopo il 1870. Se si eccettuano queste due province di Buenos Aires e Santa Fé, negli altri Stati dell'Argentina gli Italiani non vanno spontaneamente: perché quantunque vi siano in essi terreni fertilissimi, sono tuttavia troppo lontani dai porti di mare.
L'Italiano, al Plata, non s'amalgama con la popolazione locale e neppure desidera vivere da solo in mezzo ad estranei.
Egli emigra nella provincia di Buenos Aires od in quella di Santa Fé, perché qui risiedono molti altri suoi conterranei fra i quali egli si sente a suo agio, Italiano fra Italiani, ospite riguardoso in terra altrui, rispettoso e rispettato. Se si confronta, difatti, la fertilità del terreno di queste due province con quella delle altre, si vede subito e dopo il 1870 lo constaterà lo stesso Italiano che vi sarà condotto dalla corrente migratoria che l'emigrato avrebbe potuto trarre la stessa utilità anche dalla coltivazione dei campi che egli invece evita. Ma se per dannata ipotesi non vi fosse stato in Santa Fé ed in Buenos Aires neppure un connazionale, vi sarebbero rimasti sempre due porti: Buenos Aires e Rosario. E bastavano. Avrebbero consentito all'emigrante il contatto, l'uso comune della lingua, e il bisogno del traffico con altri Italiani che andavano e venivano.
E' questa la caratteristica dell'emigrazione italiana anteriore al '70; gli stessi esuli che si sono allontanati dalla patria in odio a certe leggi, a certi Governi, a certi uomini, a certe consuetudini che sono prettamente italiane, vivranno tutti lungo la costa, vicino al mare, fra conterranei coi quali sono, per molteplici ragioni in disaccordo, ma contro i quali potranno sempre spiegarsi con un'invettiva nella lingua materna; sulla costa potranno sempre incontrare qualcuno che si sottometta a chiacchierare con loro di quei Governi, e di quei persecutori che li hanno resi fuorusciti ma non dimentichi della patria loro….
….L'Entre Rios, Cordoba, San Luis, Mendoza sono fertili quanto Santa Fé e Buenos Aires, hanno clima e temperatura ottimi, e creeranno, dopo il 1870, la fortuna di certi Italiani che resteranno memorandi, come figure, nella storia economica dell'Argentina ed in quella della nostra emigrazione.
Ma gl'Italiani vi si recheranno solamente dopo che un gruppo audace d'altri Italiani li abbia preceduti. Da allora in poi sopporteranno l'alea dell'esperimento e costituiranno, dopo il risultato felice, il nerbo dell'attività industriale ed agricola del paese. Prima di seguire un'incognita che può rendere o moltissimo o nulla, i nostri emigranti preferiscono limitarsi a guadagnare abbastanza e seguire l'esempio tracciato dai predecessori.
Anche in Santa Fé, gl'Italiani avevano avuto buon fiuto. Questa provincia era favorita dalla natura del suolo, del clima, delle facili comunicazioni con il Rio della Plata e con l'Atlantico, dalle ferrovie che l'univano alle province interne, ma possedeva anch'essa qualche colonia decaduta alla quale però i nostri non appartenevano.
Infatti nelle colonie più disgraziate, Estancia grande, Francesa, Inglesa, California, Eloysa, Gruetli, Varios Puntos, Hansa, Germania, non v'erano Italiani.
In quelle d'Esperanza, San Jeronimo, Las Tunas, Humboldt e Villa Urquiza, essi costituivano una minoranza. Nelle altre erano l'elemento preponderante.