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mercoledì 26 dicembre 2018

La sentenza di morte contro Garibaldi

 


Questo rarissimo documento conservato presso l'Archivio di Stato di Torino (Corte, Alta Polizia, Copie Stampate delle Sentenze pronunciate dai Consigli divisionali di guerra di Alessandria contro inquisiti di alto tradimento) è il Manifesto della sentenza pronunciata dal Consiglio di Guerra Divisionario in Genova contro Giuseppe Garibaldi ed altri inquisiti per il tentativo insurrezionale dell'11 febbraio 1834, Genova 3 giugno 1834". 

Garibaldi, come mazziniano, si era arruolato nella marina sabauda da guerra ed aveva assunto da aderente alla Giovine Italia lo pseudonimo di "Cleombroto". 

La sentenza di morte è "in contumacia", cioè Garibaldi non era stato arrestato ed anzi a Nizza e Marsiglia, con gli altri falsi nomi di Borel, Costantinopoli e Odessa, si era adoperato per riallacciare contatti con i democratici. 

La repressione in Piemonte era però così severa che dovette scegliere la via dell'esilio volontario in America Meridionale raggiungendo infine il Brasile nel 1835. 

A Rio de Janeiro Garibaldi entrò a far parte della sezione locale della "Giovine Italia" al cui vertice stava Giovanni Battista Cuneo. 

Vista però la difficoltà di ristabilire dei rapporti costruttivi con Mazzini, Giuseppe Garibaldi iniziò quella grande avventura libertataria che gli meritò l'appellativo di eroe dei due mondi. Egli infatti, spinto da vero spirito democratico e di lotta a favore degli oppressi, si schierò a favore del pronunciamento cioé della ribellione, nel 1835, del RIO GRANDE DO SUL vale a dire la più meridionale delle provincie dell'Impero Brasiliano. Garibaldi si schierò con entusiasmo dalla parte dei ribelli. 

Con la "patente di corsa" e con l'attrezzatura di guerra della "Mazzini" (la nave acquistata inizialmente nell'ansia di un riscatto italiano di linea mazziniana) si aprì per lui un periodo di grande attività in cui la lotta per la neo-repubblica sudamericana fu seguita dopo breve parentesi di pace da quella per la lotta civile tra Oribe e Rivera all'interno del neonato Uruguay.

Nel 1842 l'assedio di Montevideo lo vide esordire a capo della Legione Italiana ma la diserzione di parecchi legionari mise a dura prova le capacità militari e organizzative di Garibaldi.

La grande vittoria di "S. Antonio" del dicembre 1846 e la successiva crisi politica di Montevideo aprirono poi la via al suo ritorno in Italia, in qualche modo segnata dall'avvento al "Sacro Soglio di Roma" del "Papa liberale" Giovanni Mastai Ferretti, vescovo di Imola, col nome di Pio IX.

da  Cultura-Barocca


domenica 16 dicembre 2018

Carlo Emanuele I di Savoia

Carlo Emanuele I di Savoia, nato a Rivoli il 12 gennaio 1562, viene educato dalla madre, Margherita di Savoia.
Sposa nel 1585 la figlia di Filippo II di Spagna, Caterina d'Asburgo.

Nel 1590, alla morte del padre Emanuele Filiberto, sale al trono su cui governerà per circa 50 anni: ambizioso e determinato, riesce a coagulare sulla sua persona le speranze degli italiani che intendevano liberarsi dal giogo straniero.

In un primo tempo si assicura l'annessione del Saluzzese (1601), ma le successive guerre per il Monferrato e la conquista di Ginevra risultano disastrose e conducono il ducato sull'orlo del disastro: è la crisi politica, demografica ed economica.

Sul modello della corte di Spagna conduce una vita molto dispendiosa, si fa prestare soldi perfino dai suoi camerieri: il fasto della corte prevede anche imprese di carattere culturale e artistico per cui promuove il restauro del palazzo ducale e del castello degli Acaja ad opera del Vitozzi e del Castellamonte, e mantiene numerosi artisti, pittori, poeti, intellettuali, che devono soprattutto decantare la magnificenza dei Savoia.
Torino diventa una capitale sfarzosa, arricchita da splendidi edifici (le ville del Valentino, della Regina e di Mirafiori, la “vigna" del cardinal Maurizio).
I castelli dinastici di Racconigi, Rivoli e Giaveno, divengono pompose residenze estive.

Tenta con esiti significativi una guerra d'aggressione a danno della Liguria, investendo anche il Ponente rivierasco.
Muore di una strana malattia a Savigliano il 26 luglio 1630 durante l'invasione da parte dei Francesi.

Santuario di Vicoforte (CN)
È stato sepolto nel Santuario di Vicoforte, vicino a Mondovì.
Ha lasciato uno stato impoverito economicamente e ridotto territorialmente a vantaggio della Francia.
Il figlio minore, Tommaso, sarà il capostipite dei Carignano.

da Cultura-Barocca

lunedì 10 dicembre 2018

Sulla Repubblica Ligure

 

La carta sopra proposta [riportante la "Legge" della Repubblica (rivoluzionaria) Ligure] rimanda, direttamente ed indirettamente, ai Tempi Nuovi della Rivoluzione Francese ed al suo possente influsso su tanti altri Stati europei.

 
   
Nello specifico riporta alla caduta della Serenissima Repubblica di Genova ed alla conseguente costituzione della Repubblica Ligure di stampo filofrancese. Nel 1797, sulla scia dei SUCCESSI DI NAPOLEONE E DELL'ARMATA D'ITALIA si costituì a Genova il GOVERNO PROVVISORIO DELLA REPUBBLICA LIGURE che subito intraprese una assidua CAMPAGNA PUBBLICITARIA A FAVORE DELLE NUOVE IDEE, DEL NUOVO REGIME POLITICO E IN AVVERSIONE ALLA VECCHIA NOBILTA' GENOVESE 

Gradualmente si soppressero le amministrazioni locali.

QUI DI SEGUITO SI PRODUCONO DOCUMENTI ATTINENTI.

Come si legge nel Registro delle sezioni del Governo Provvisorio della Repubblica di Genova, Genova, Stamperia Nazionale Ventimiglia spedì a Genova due deputati (il sacerdote Gaetano Olignani che aveva rigettato il titolo di Magnifico e tal Sebastiano Gibelli) per ratificare il successo della Rivoluzione e giurare fedeltà alla Nuova Repubblica. Nel testo si legge, al modo ampolloso e retorico dell'epoca, il discorso pronunciato dall'Olignani:
Cittadini rappresentanti/ Gli antichi e valorosi Intemelii popolo generoso che col nascere della Repubblica latina on vincolo d'unione indissolubile confederossi coi figli di Quirino, divenuto così uno dei dei più illusti municipii di quella grande nazione, quel popolo istesso strinse un'eguale fratellanza cogli incliti figli di Giano; quando in un'epoca però disgustosa ed esecranda, quando l'ambizione, l'ignoranza e l'errore di acuni di questi riconcentrando in se stessi i comuni diritti dei loro concittadini e di tutte le confederate liguri popolazioni innalzarono con sacrilega mano l'esecrabile trono dell'aristocrazie. Videsi ben tosto in allora tiranneggiato il nostro comune ed oppresso; disparirono come un baleno i più sacri inviolabili rapporti di lor natura per patto sociale inalterabili, vieppiù suggellati eziandio col grande atto solenne di religione, sì con giuramento reciproco. Questi mostri dell'uman genere, snaturati misantropi ci opprimevano nelle più barbare forme, persino in questi ultimi tempi, sebbene per ragione di sito attaccati al suolo della libertà della più grande nazione. Uno di questi investito di pubblico manto, contro le voci della umanità reclamanti, ci costrinse a cibarci di un pane mefitico per consulto de fisici stimato nocevole alle più robuste costituzioni. Che più? A tal grado di perfidia pervenne perseguitando accanito alcuni dei nostri onorti cittadini, e la stessa pubblica comunale rappresentanza oppresse e disonorò, per aver essa pensato a mezzi di provvidenza ben necessarii per allontanare la minaccia terribile di una contagione generale, di uno dei più puri elementi, sì dell'aria medesima. Ma che? Noi stessi deputati fummo due innocenti vittime sacrificate barbaramente alle di lui ambizioni e puntiglio e per lungo continuato tempo allontanati dal seno della nostra patria e famiglia, senza processo e giustizia (giustizia inaudita) subimmo una tal pena. Il luminoso sereno giorno della rivendicazione dei comuni diritti inalienabili di libertà ed eguaglianza è giunto finalmente, o cittadini rappresentanti; all'apparire che fece sul nostro suolo il rimo dei vostri decreti, sbocca baccante il popolo intiero e bacia e ribacia i dolci nomi di libertà ed eguaglianza forieri di nostra rigenerazione: Gridano tutti: siamo liberi, siamo eguali. Il mostro infernale dell'aristocrazia è finalmente coi piedi vittoriosi schiacciato, l'entusiasmo modificato poi in dolci effetti, a prorompere in lagrime i nostri concittadini, di ceti, di preminenze, di età: e dolci singhiozzi frammischiati agli evviva fanno eco festosa; e il popolo prorompe in mille voti per la vostra felicitazione. Tutti protestano di voler vivere e morire in difesa di questi sacri diritti inalienabili di libertà ed eguaglianza. Ci onora il nostro comune dell'augusto carattere di deputati di un popolo libero per felicitare Voi, gloriosi rappresentanti della libertà ligure. Vendicateci ed a suo nome accettate i fervidi voti del nostro comune e le di lui felicitazioni. Viviamo persasi dell'assiduità delle vostre cure e premura per il generale vantaggio ed afrettatevi a compiere la grand'opera, di cui ne avete l'onorevole incarico, tutto ripromettendoci noi, dal bene conosciuto nostro patriottismo. Fraternizziamo finalmente o rappresentanti gloriosi, ma tremino gli antichi oppressori dell'uomo e del cittadino e tu, o veloce fama ne porta il nome alla rigenerata nostra patria.

 

Progetto della commissione legislativa genovese per la promulgazione di una nuova costituzione da edizione napoletana assolutamente identica alla coeva edizione della stamperia nazionale di Genova, di cui si propone l'incipit: "il popolo ligure considerando che il passato suo avvilimento e' provenuto dall'essere stato soggetto ad un governo aristocratico, ed ereditario, e dall'essersi separato in classi differenti, ha stabilito di non formare in avvenire che una sola famiglia coll'adottare una Costituzione fondata su i veri principj della Libertà e dell'Eguaglianza...'. La sovranita' era riconosciuta nelle mani del popolo essendo 'indivisibile, inalienabile, imprescrittibile'. Seguivano quindi le dichiarazioni dei diritti e dei doveri dell'uomo e del cittadino, lo stabilimento di un corpo legislativo diviso in due consigli, e di un Direttorio. Si dichiarava che la repubblica conservava la religione Cristiana Cattolica, tuttavia i beni ecclesiastici di qualunque natura appartenevano alla nazione. Il progetto venne divulgato nel mese di agosto e si fissò per il 14 settembre la popolare accettazione. Tuttavia i vari interessi che venivano toccati dalla costituzione erano troppo forti e così scoppiò il malcontento quasi generale. La sollevazione comincio' nella valle di Bisagno e poi si propagò nella riviera di Levante fino a Sarzana e in quella di Ponente fino a Polcevera. Il Governo provvisorio, all'annuncio della rivolta, affermo' di dover rivedere alcuni articoli della costituzione specie quelli riservati alla religione cattolica.  Nel 1798 venne dunque domata una CONTRORIVOLUZIONE a Genova... 

L'anno II della Repubblica Ligure, l'8 marzo 1799 essendo presidente nazionale il cittadino Leveroni fu trasmessa al Consiglio dei Seniori, di cui era presidente il cittadino Pizzorni, una bozza di legge che, approvata il 4 aprile 1799, fu trasmessa, essendo presidente il cittadino Costa e segretario generale il cittadinoSommariva, al direttorio esecutivo che l'approvò e la fece pubblicare il giorno successivo: venne così promulgata la fondamentale LEGGE che per riordinare la REPUBBLICA LIGURE sanciva alcuni punti basilari dai seguenti titoli: DELLE AMMINISTRAZIONI GIURISDIZIONALI, CONTRIBUZIONI, BENI NAZIONALI, ISTRUZIONE PUBBLICA, STABILIMENTI RELIGIOSI E SOCCORSI PUBBLICI, LAVORI PUBBLICI, POLIZIA GENERALE, SORVEGLIANZA SULLE AMMINISTRAZIONI MUNICIPALI: essa davvero segnava la fine delle ultime parvenze burocratiche dell' AMMINISTRAZIONE DELLA REPUBBLICA DI GENOVA ed inaugurava la breve ma importante storia della REPUBBLICA LIGURE.


 

 INDICE delle materie più interessanti delle Leggi ed Atti del Corpo Legislativo Ligure


Succedettero comunque tempi difficili come quelli della crisi dei francesi e la loro ritirata con gli alletati italiani - ricordiamo qui il grandissimo poeta Ugo Foscolo - da Genova presa dagli austriaci, anche se tutto fu risolto dal pronto intervento di Napoleone con la II Campagna d'Italia che comportò tuttavia scelte autoritarie.

I governi che si alternano dall'anno 1797, che segnò la "morte" dell'antica Repubblica di Genova e l'avvento della rivoluzionaria e filofrancese Repubblica Ligure, si impegnarono molto nel settore dell'educazione, superiore e non.
Il governo locale, ricostituito dal 1802, emanò un regolamento per l'Università attivando una commissione agli studi di cinque membri, di cui 4 in rappresentanza delle quattro facoltà (teologica, filosofica, legale, medica) ed un ulteriore membro a garanzia dell'elezione libera dei professori.
Gli studi di medicina, che fino a tale periodo si erano tenuti a Pammatone ed erano vigilati dai protettori dell'ospedale, passarono all'Università.
Il ciclo degli studi per il conseguimento delle lauree prevedeva tre o quattro anni sotto la vigilanza della commissione che ha il compito di ordinare il piano degli esami che gli studenti sono tenuti a superare per conseguire il titolo di laurea.
Dopo la costituzione dell'Impero francese, che assimilò la Repubblica ligure, gli studi superiori furono suddivisi nelle scuole speciali di diritto, medicina, scienze fisiche e matematiche, scienze commerciali, lingua e letteratura, farmacia.
L'Università di Genova ebbe quindi a patire un declassamento e, seguendo un destino simile a quello di altri centri culturali periferici dell'Impero, prese ad esistere solo in funzione dell'unica Università imperiale di Parigi.

TIMBRO IN METALLO CON IL SIMBOLO DELLA REPUBBLICA RIVOLUZIONARIA LIGURE (1797 - 1805) - CUSTODITO AL MUSEO DEL RISORGIMENTO DI GENOVA

   

Sì che, come altre, la Repubblica Ligure, soppressa dal Bonaparte fu unita per ascrizione, voluta dal Bonaparte, della Liguria alla vasta compagine del napoleonico IMPERO FRANCESE sotto la specie politico-militare di non dover dispergere utili energie per controllare le problematiche di Repubbliche soggette sì al controllo transalpino ma troppo frammentate e gestite da fazioni spesso contrapposte e potenzialmente in grado di fomentare rivolte antifrancesi.

Napoleone procedette ascrivendo la Repubblica ligure nella compagine del vasto Impero da lui creato si impegnò ad esercitare anche sul suo clero, come su quello dei vari Paesi da lui assimilati [ma peraltro continuando un'OPERA già intrapresa dalla Repubblica rivoluzionaria ligure], una forma di controllo che mirava da un lato a laicizzare il nuovo Stato e dall'altro aveva lo scopo di regolamentare i vari aspetti della vita ecclesiastica, sì da farsene un sostegno irrinunciabile: da qui derivò tra l'altro l'importante DECRETO CONCERNENTE LE FABBRICHE (CHIESE): di seguito è QUI riproposto un utile INDICE per visualizzare i vari aspetti in cui, anche per concedere uniformità alla gestione di legati, lasciti e patrimoni, vengono laicizzati (si veda la TERMINOLOGIA USATA) e ristrutturati vari aspetti della vita ecclesiastica in Liguria ponentina come in ogni altra contrada dell'IMPERO.


da Cultura-Barocca

sabato 8 dicembre 2018

Iconografia del Trofeo di Augusto a La Turbie

Da Theatrum Statuum Sabaudiae, Amsterdam, 1682, in B. Durante-R. Capaccio "Marciando per le Alpi..." , Cavallermaggiore [Gribaudo-Paravia], 1993
La fortificazione sabauda, realizzata sui resti del Trofeo di Augusto, fu distrutta nel 1706 dai Francesi durante la Guerra di Successione Spagnola.
Da Giarre in B. Durante-M. De Apollonia "Albintimilium, antico municipio romano", Gribaudo, 1988

Come si vede nella soprastante incisione.

da Cultura-Barocca

giovedì 29 novembre 2018

Lucca, 1847: parodia su una Costituzione mai concessa

 
 

 
 
 
 
 

 

 
 

 
 

 
 
 

IL TESTO INTEGRALMENTE SOPRA RIPORTATO DELLA COSTITUZIONE DEL DUCATO DI LUCCA RAPPRESENTA UN PIU' CHE UNICO CASO LETTERARIO DI PARODIA E SATIRA SU UNA "COSTITUZIONE MAI CONCESSA" E QUINDI SULLA CADUTA DI UNO STATERELLO ITALIANO FILOAUSTRIACANTE.
NONOSTANTE LE INDAGINI DI MARIO BATTAGLINI, CUI SI DEVE LA RISTAMPA DI QUESTO LAVORETTO (PP. 200-213 E P. 305) E LA SUA PROPOSIZIONE IN QUESTA SEDE, L'AUTORE E' RIMASTO ANONIMO E SCONOSCIUTO, ANCHE SE DELL'OPERA HANNO POI PARLATO IL MARTINI (MEMORIE INEDITE DI GIUSEPPE GIUSTI, MILANO, 1980, PAG. 273) CHE LA GIUDICO' UNA SATIRA ARGUTA E TAGLIENTE, STAMPATA ALLA MACCHIA, DI SOPPIATTO DIVULGATA. SARCINE DELLA STESSA SI TROVANO POI NELLA CRONISTORIA, VOL.II,2, CAP.38 DEL CANTU'.
IL LIBRETTO ORIGINALE RISULTA DI 24 PAGINE (CM.22 x 12). I DATI TIPOGRAFICI SONO FALSI, ATTESO CHE INVECE CHE NELLA PIAZZA DI PARIGI LA SATIRA FU EDITATA IN BASTIA, TIPOGRAFIA FABIANI (COME LEGGESI IN CALCE).
da  Cultura-Barocca

 

mercoledì 21 novembre 2018

La Chiesa e gli Ebrei nel 1700



Autore del volume - questo esemplare proviene da raccolta privata - fu il teologo francescano Lucio Ferraris (1687-1763)












venerdì 16 novembre 2018

La Forma Urbis Severiana

Frammento della Forma Urbis Severiana - Fonte: Wikipedia
"La Forma Urbis Severiana" (anche Forma Urbis Romae, "Pianta marmorea severiana", o Forma Urbis Marmorea) è una pianta della città di Roma antica incisa su lastre di marmo, risalente all'epoca di Settimio Severo. 

Realizzata tra il 203 e il 211, era collocata in una delle aule del Tempio della Pace (o "Foro della Pace") La pianta misurava in origine circa 13 m in altezza per 18 di larghezza e si componeva di circa 150 lastre rettangolari di marmo, non tutte di uguali dimensioni, disposte su undici file: nelle prime otto (dal basso) le lastre erano disposte verticalmente e orizzontalmente in alternanza, mentre nelle ultime tre erano orizzontali. Il disegno della pianta fu inciso sulle lastre dopo che queste ultime erano state fissate sul muro mediante grappe di sostegno e malta. Le lastre fungevano da rivestimento parietale di una delle sale disposte all'angolo meridionale del Tempio della Pace. 

Il fatto che l'ambiente immediatamente adiacente sia stato riutilizzato (intorno all'anno 530) per la Basilica dei Santi Cosma e Damiano ha permesso la conservazione della parete su cui erano applicate, pur con rimaneggiamenti legati alla storia edilizia della chiesa. Sulla parete della Forma sono tuttora visibili i fori utilizzati per le grappe di fissaggio della pianta.

La pianta è redatta nella scala 1:240 ossia un piede [ il piede romano era la principale unità di misura di lunghezza nel mondo romano in campo militare e civile. Deriva dal piede greco-attico. Gli studiosi non concordano sull'esatta lunghezza del piede, ma è comunemente accettata la lunghezza di 29,6 cm. Prima della sua adozione, in Italia era comunemente utilizzato il pes oscus o 'italicus' di lunghezza pari a circa cm. 27,5. 

Nel Tempio di Giunone Moneta era conservato l'esemplare a cui si ricorreva per avere una misura autentica e autorizzata della principale unità di misura romana. Per questo motivo il piede romano era noto anche con il nome di pes monetalis. Sono note due distinte suddivisioni: la suddivisione di origine greca era in digitus, palmus, semipes e palmus maior; la suddivisione di origine italica era in silicus (1/48), semuncia (1/24), uncia (1/12), sescuncia (1/8), sextans (1/6), triens (1/3), quincunx (5/12), semipes (1/2), septunx (7/12), bes (2/3), dodrans (3/4), dextans (10/12), deunx (11/12). - i multipli sono: palmipes (5/4), cubitus o ulna (3/2), dupondius (2), pes sexterius o i>gradus (5/2), passus (5), pertica o decempeda (10), actus (120), stadium (625), miliarum (5000) = cento piedi erano spesso usati come modulo nell'architettura: misuravano cento piedi la colonna Traiana e quella Aureliana, oppure l'aula della basilica Palatina di Costantino a Treviri] sulla Forma corrisponde a 2 actus nella realtà [ l'actus minimus: 120×4 piedi (35,5×1,2 metri); l'actus quadratus o acnua, agnua: 120×120 piedi (35,5×35,5 metri); l'actus duplicatus: 240×120 piedi (71×35,5 metri). 

Queste misure erano utilizzate soprattutto nell'ambito delle centuriazioni. 

Un esempio è il tessuto urbanistico del centro storico di Corigliano d'Otranto in provincia di Lecce nel quale, fra via Capiterra e via Cavour, è individuabile un rettangolo abitativo strutturato su lotti corrispondenti a multipli o sottomultipli dell'actus romano] ed è orientata, diversamente dagli usi moderni, con il sud-est in alto. È rappresentato in dettaglio il piano terra di tutti gli edifici, compresi colonnati e scale interne. Le dimensioni di alcuni monumenti erano però redatti in scala maggiore; questi dovevano avere prevalentemente funzione orientativa. 

Il tracciato del Septizodium alla base del Palatino - Fonte: Wikipedia
La datazione della pianta è posteriore al 203, data della costruzione del Septizodium (Settizonio), rappresentato su uno dei frammenti, e anteriore al 211, anno della morte di Settimio Severo: questi viene infatti citato come regnante, insieme al figlio maggiore Caracalla nell'iscrizione incisa su un gruppo di frammenti (SEVERI ET [AN]TONINI AV[GG] NN [...], ossia "di Severo e Antonino, nostri augusti" (l'iscrizione, come di consueto sulla pianta marmorea, è al genitivo: non si tratta, come erroneamente riportato, di una dedica). La mancanza dell'altro figlio di Settimio Severo, Geta, associato al trono nel 209, fa propendere per una datazione anteriore a tale data. 

La pianta fu probabilmente eseguita in occasione della ricostruzione di alcuni settori del Tempio della Pace danneggiati da un incendio nel 192. 

È possibile che la pianta severiana sostituisca una pianta più antica, dell'epoca di Vespasiano, il costruttore del complesso monumentale. 

La forma era probabilmente connessa con la pianta catastale ufficiale di Roma redatta su papiro, forse conservata nella medesima sala. Quest'ultima pianta, più facilmente aggiornabile, doveva riportare anche i dati riguardanti la proprietà degli edifici, oltre che le loro misure. Attualmente si conservano 1.186 frammenti delle lastre, che coprono circa il 10-15% del totale della superficie. Furono rinvenuti a più riprese, a partire dal primo ritrovamento del 1562, talvolta anche in luoghi non corrispondenti all'originaria collocazione. 

Alcuni dei frammenti ritrovati nel XVI secolo andarono perduti prima del loro trasferimento ai Musei Capitolini, tuttavia di alcuni di essi possediamo vari disegni rinascimentali. Nel 2002 la Stanford University (San Francisco, California) ha curato un progetto basato sulla creazione di un data-base on-line dei frammenti esistenti per la ricostruzione della pianta con l'ausilio di tecnologie informatiche, il cui risultato è stato il posizionamento di quattro ulteriori frammenti. 

Uno dei contributi più recenti allo studio della Forma Urbis permette di stimare il contenuto metrico della pianta marmorea tramite l'analisi del rapporto tra le strutture riprodotte sulla Forma e la topografia reale, utilizzando tecniche geomatiche per verificare la posizione relativa dei frammenti. 

Dallo studio si confermano le ipotesi di una scala globale unica in tutte le direzioni ma di una diversa dimensione di rappresentazione degli edifici maggiori; nel caso del Teatro di Marcello, l'applicazione del metodo proposto ha portato alla formulazione di una ipotesi di ricollocazione di alcuni frammenti al fine di ricostruire una scala uniforme sulla relativa lastra. 

Nel corso del tempo, molti studiosi si sono occupati dell'identificazione degli edifici raffigurati sui frammenti ed hanno proposto nuove localizzazioni e interpretazioni: Lucos Cozza, Emilio Rodríguez Almeida, Claudia Cecamore, Filippo Coarelli, Daniele Manacorda, Domenico Palombi, Luigi Pedroni, David West Reynolds e Pier Luigi Tucci.

da Cultura-Barocca

domenica 11 novembre 2018

Il Piccolissimo, uno dei tanti periodici propagandistici della Grande guerra

   
Mentre con la conclusione della PRIMA GUERRA MONDIALE venivano poste le basi per il nuovo assetto d'Europa, in Italia, seppur lentamente, sfumavano le enfatizzazioni della retorica di guerra,  semmai si cercava internamente la soluzione di PROBLEMI ANNOSI e spesso dolorosi ch'avevano contrapposto le genti come quello della QUESTIONE ROMANA, CIOE' DEI RAPPORTI TRA LO STATO ITALIANO E LA CHIESA, e si andava creando un clima di attese anche preoccupate onde vedere realizzate tutte le aspettative sancite dal patto di Londra.

Ed è interessante seguire la portata di siffatti eventi scorrendoli sulle pagine dei numeri del 1919 del il PICCOLISSIMO, uno dei tanti "periodici propagandistici di guerra", la cui peculiarità consiste però nel parlare ad un pubblico minimo, di scolari e giovanissimi studenti (era infatti edito dal Comitato laziale dell'Unione Insegnanti).
 

Dopo i clamorosi accenti patriottici dei NUMERI DEL 1918 culminati nell'anche giusta e giustificata retorica d'amor patrio del NUMERO DELLA VITTORIA (Anno II, n.23, del 15 novembre 1918) dal 1919, 


nell'ansiosa aspettativa della Conferenza di pace e di fronte a voci più o meno attendibili di qualche penalizzazione italiana, i nuovi NUMERI (Anno III, 1 , 2, 3, 4) 

 
andarono a soffermarsi piuttosto sulle grandi calamità della guerra, sull'Europa e sull'Italia prostrate, sul ritorno dei reduci, per lo più agricoltori, e la loro vitale esigenza non solo di esser compensati in linea con le promesse a monte dell'intervento bellico ma quantomeno sulla loro possibilità di un costruttivo reinserimento nel mondo del lavoro.



da Cultura-Barocca

mercoledì 7 novembre 2018

Il Teatro alla Moda

 Occorre sottolineare che nel Seicento, nonostante i successi e la frequentazione di un pubblico sempre più vasto, il Teatro fosse spesso visto con sospetto dai conservatori, ecclesiastici e non, e che non pochi ne caldeggiassero una moralizzazione anche in merito al comportamento, in scena, ma soprattutto nella vita privata, degli artisti e delle artiste in particolare. 

In effetti non mancavano e ancor più con lo scorrere del tempo non sarebbero mancate attrici spregiudicate e primedonne capricciose come si evince da un letterato, Benedetto Giacomo Marcello (Venezia, 24 luglio 1686 - Brescia, 24 luglio 1739, che è stato un compositore, poeta, scrittore, avvocato, magistrato e insegnante italiano, cui è stato dedicato il Conservatorio di Venezia.
Ai tempi dell'Autore il Teatro stava subendo un'involuzione che sarebbe diventata un fatto così eclatante nel '700 proprio per i capricci di tanti suoi protagonisti, da avere poi diversi autori satirici che misero in evidenza siffatta situazione, tra cui indubbiamente spicca Benedetto Marcello con il suo Teatro alla Moda.

Tra gli autori che presero in satira i difetti del teatro moderno i nomi risultano numerosi e importanti (compare anche il giovane Goldoni) e specie in merito al predominio in esso dei "Capricci di Compositori di Musica, di Virtuose e Virtuosi" (cioè Attori e Attrici) si possono rammentare letterati di grido quali l'Algarotti, il Pianelli e l'Artenga, il Gravina, il Muratori, il Crescimbeni, il Maffei, il Baretti, il Gozzi, l'Albergati ed il Parini, Jacopo Martello, Simeon Sogràfi, Filippo Pananti: molto spesso comunque debitori del Marcello.

Anche se non si possono non menzionare, specie a scapito delle donne operanti sulle scene, già dal tardo '600 casi limite opposti, rappresentati, per esempio, da Lodovico Adimari e dalla "Basilissa" o ex Regina di Svezia Maria Cristina.



In particolare la condanna morale delle donne del mondo dello spettacolo, estremizzazione antifemminista contro le donne teatranti = ....Pudica esser non può Donna vagante,/ La cantatrice è tal, dunque è puttana.... , ovvero il caso del settecentesco nobile e letterato Lodovico Adimari...


da Cultura-Barocca