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mercoledì 28 febbraio 2018

Pratica delle Missioni del Padre Paolo Segneri

   La figura dei "Missionari" in terre non cristiane ed esotiche, dal Nuovo Mondo all'Asia, talora, provoca qualche confusione con le MISSIONI ideate da Paolo Segneri donde deriva il volume Pratica delle missioni del padre Paolo Segneri della Compagnia di Gesù predicatore pontificio, continuata dal p. Fulvio Fontana della medesima religione per lo spazio d'anni ventiquattro, ... Con l'aggiunta delle prediche, discorsi, e metodo difinito tenutosi nelle funzioni sacre. Parte prima [-seconda] Pubblicazione Venezia : presso Andrea Poletti, 1714 - Descrizione fisica 2 v. ; 4º - Note generali · A cura di Marco Aurelio Franchini, il cui nome figura nella dedica, a c. *2v. della prima pt. - . Nelle intenzioni della Compagnia di Gesu' vi fu in particolare la formazione di un clero che potesse svolgere la funzione di anello di congiunzione -sia nei più sperduti borghi quanto nelle città per rinvigorire la fede cattolica- tra gli ecclesiastici e il popolo [ molte altissime gerarchie ecclesiastiche come si legge in dettaglio qui entro la Lettera Pastorale del cardinale arcivescovo di Bologna denunciavano il degrado morale delle Diocesi cui le Visite pastorali potevano porre rimedi relativi data la loro brevità a differenza della, ormai giudicata opportuna, "Pratica delle Missioni" ed oggettivamente dal '600 l'esistenza era sempre più sospesa tra splendori e sfarzi indubbi quanto ancor maggiormente minata da miserie estreme tra delinquenza, guerre, carestie, pauperismo e malattie incomprensibili: per molti vivere era un problema e sopravvivere un'avventura per cui si ricorreva a tanti espedienti, senza quasi bisogno di citare qui il luogo solito del sesso mercenario, fenomeno peraltro comune, ma giungendo come nelle "Corti dei Miracoli", vero ricettacolo di aventurieri, a sistemi tali da violare i più elementari equilibri non solo della religiosità ma della stessa vita civile sfruttando in modo anche spaventoso bambini e fanciulle, senza risparmiare una variegata serie di "diversi" spesso strappati violentemente se non comperati da famiglie disperate = con un inasprimento notevole e tanta violenza sì da scatenare, contro le "malefatte del genere umano, allontanatosi dalla Fede", la credenza dell'avvento prossimo venturo dei quattro cavalieri dell'Apocalisse secondo un ammonimento diffusissimo (anche, ma non solo) a livello di oratoria sacra, come pure si legge nel Quaresimale del Segneri in relazione alla Predica XV intitolata = Con le sciagure del nostro secolo stesso, già flagellato a quest'ora tanto aspramente, si confonde ogni incredulo, egli s'intima che al tuono delle minacce divine negherà fede ancor egli si aspetti il fulmine ove, indubbiamente condizionato anche dalle antiche prediche di Annio da Viterbo per quanto confutate da Benito Pereira, rammentando le tante sventure del XVII secolo qual sorta di divina punizione, specialmente il Segneri si sofferma sulle sanguinosissime guerre che falcidiarono l'Europa non esclusi i conflitti con i Turchi (con nel contesto del conflitto che contrappone riformati e cattolici con le armi affiancate da feroci libelli reciprocamente propagandistici, non raramente di "letteratura escrologica" e riportanti postazioni sospese tra magia, stregoneria e mercenaria lussuria) ed ancora sul terribile e paneuropeo flagello della peste cause di estrema miseria e dilagante pauperismo. Nel qui digitalizzato testo della Pratica delle Missioni si vede l'impegno profuso per migliorare la condizione morale e ripristinare oltre che quelli religiosi puranco i valori civili: importanti cardinali colsero la valenza dell'iniziativa e, seppur a titolo meramente documentario, vale la pena di citare tra le varie autorizzazioni cardinalizie per padre Fontana -data la morte del Segneri- ed i suoi pii seguaci a procedere nell'opera della "Pratica delle Missioni" anche quella del cardinale Arcivescovo della Diocesi di Milano datata del 1706 tempo in cui da questa dipendeva ancora (sino al 1797) - consulta anche da testo antiquario - l'antica e "frontaliera" Diocesi di Ventimiglia ].
In simile ottica il Segneri adottò la " PRATICA DELLE MISSIONI " (DI CUI SI PROPONE DIGITALIZZATA LA PRIMA EDIZIONE DEL 1714 -EDITA POSTUMA- CON LA COLLABORAZIONE DI PADRE FONTANA CHE TERMINO' L'OPERA) = accedi qui agli INDICI MODERNI CRITICAMENTE INTERLACCIATI A QUELLI ANTICHI. Dato singolare, all'interno di questa pratica, e' la presenza della musica che non solo e' descritta: addirittura nella Pratica delle missioni del padre Pavolo Segneri venne proposta un'appendice sotto titolo di Tutto cio' che si canta nelle Missioni posto sotto la Nota Musicale, piu' precisamente in notazione mensurale . L'iniziativa del Segneri si esplica in area cristiano-cattolica mentre riferimento più esteso, cioé all'opera missionaria nelle nuove terre d'Asia e America, è esplicitata dalla voce MISSIONARIO da 'Bibliotheca canonica, juridica, moralis, theologica nec non ascetica, polemica, rubricistica, historica, &c. ... ab ad m.r.p. Lucio Ferraris' = sul tema proposto dal Segneri è utile leggere EXAMEN MISSIONARIORUM di FELICE POTESTA' (1649-1702), teologo palermitano, fu giudice del S. Uffizio, esaminatore sinodale, censore di libri e celebrato autore di quest'opera che costituisce un manuale di pratica ecclesiastica in TRE TOMI in cui qui si segnala che la vasta PRIMA PARTE costituisce una minuziosa trattazione di diritto canonico con varie considerazioni sui reati perpetrabili e sulle interazioni, anche nella comminazione delle pene, fra giurisdizione statale ed ecclesiastica. Mentre di questo volume la SECONDA PARTE è dedicata ai vari tipi di eresia, alla censura, ai libri proibiti ed all'inquisizione. Ed ancora la TERZA PARTE affronta le seguenti 3 tematiche: 1 - EXAMEN ORDINANDORUM poi 2 - EXAMEN PRAEDICATORUM e finalmente 3 - EXAMEN MISSIONARIORUM in relazione al quale si segnala qui la NOTA MUSICALE e la DURATA DELLA MISSIONE

da Cultura-Barocca

Un gesuita anticonformista del Seicento


  ... certi testi, come questo "Il Parroco Istruito" di Paolo Segneri, hanno, se si ha la volontà di leggerli con le dovute integrazioni multimediali, non solo proprietà di documentazione storica, ma anche di indagine sullo stato non facile della Chiesa nel '600.

Il Don Abbondo manzoniano con i suoi difetti è solo una macchietta a fronte di tanti Parroci, Curati, Rettori della Chiesa dell'epoca accusati da Paolo Segneri di non adempiere ai loro doveri.

E le parole del Segneri, autore di varie altre opere, tra cui un "Quaresimale" di tutto riliveo,rimbombano su costoro come pietre! 

Il moderato Manzoni attenua tante realtà, ma senza dubbio lesse questa opera (in cui, a prescindere dalle lodi per i Religiosi bravi, Segneri non esita a trattare di quelli "Mali" nel senso di cattivi), recuperandone vari spunti, pur smussandone gli angoli più acuti a riguardo dei Parroci variamente responsabili di inadempienze.


in generale = "Peccatori" elencandoli genericamente pur avendo cura ad integrazione del più vasto, severo e controriformista Il Cristiano Istruito di citarne alcune tipologie sotto nomi di Bestemmiatori, Susurroni, Vendicatori, Usurai, Giuocatori laddove, non a caso, al primo posto son elencati i Bestemmiatori (ascritti fra i criminali supremi sia per le Leggi degli Stati che della Chiesa) elencati dal Segneri in vari sensi ma soprattutto classificati in due categorie vale a dire perpetratori di Bestemmia Ereticale e di Bestemmia Semplice (in merito vedi le opinioni diverse di vari Autori sulla Bestemmia Semplice ed ancora il parere di P. Segneri) come si evince dal Ragionamento Ottavo, "Sopra il Peccato della Bestemmia" de Il Cristiano Istruito], il modo con cui i Parroci debbano agire per risolvere dispute e liti, sia civili che criminali, insorte fra Parrocchiani sotto la loro Cura e su Istruzione, catechismo, induzione coatta -senza vocazione- alla vita ecclesiale e pure analizza il doveroso impegno dei Parroci contro ogni forma di violenza domestica e pure la loro necessaria assistenza agli infermi con il dibattito relativo ma anche in merito alla valenza di confessione, penitenza ecc. (per negligenza, come talora accade non lasciar morire senza confessione i fanciulli e gli apparentemente quieti = curando poi senza ambizioni di lucro le inumazioni dei defunti) ed ancora il doveroso comportamento dei Parroci di rimpetto alle apocalittiche sventure come quelle della Peste, ma non solo, preannunziate da segni celesti come le Comete = l 'essenza di qualsiasi buon Parroco "ORAZIONI" ma anche collaborazione stretta alla perfetta riuscita di "ESERCIZI SPIRITUALI" E "PRATICA DELLE MISSIONI

da Cultura-Barocca

martedì 20 febbraio 2018

Viaggi al Regno di Quito di Giovanni di Velasco

Juan de Velasco (Riobamba, 27 gennaio 1727 - Faenza, 29 giugno 1792) è stato un religioso e storico ecuadoriano. Era un padre gesuita e fu professore di filosofia e teologia alla Real Audiencia di Quito e all'università di San Marcos di Lima, nel Vicereame del Perù. È noto soprattutto per la sua opera Historia del Reino de Quito, pur avendo scritto altre opere non storiche, tra cui testi di fisica e antologie poetiche. La Historia del Reino de Quito è importante nella storia dell'Ecuador, perché
ipotizza l'esistenza di un regno pre-incaico nella regione dell'attuale Ecuador, cui diede il nome di Reino de Quito (Regno di Quito).
Il libro è menzionato e discusso da molti storici, tra cui Marcos Jiménez de la Espada e Federico González Suárez. Una rara immagine del Velasco è effigiata in un francobollo emesso nel 1947 delle poste ecuadoriane.


INTRODUZIONE
I. FONDAZIONE DEL REAME DI QUITO
II. IL REAME DI QUITO CONQUISTATO DA CARAN-SCYRI
III. RIUNIONE DELLA PROVINCIA DI PURUHA AL REAME DI QUITO
IV. CONQUISTA DEL REGNO DI QUITO FATTA DALL'INCA HUAYNA-CAPAC
V. REGNO DELL'INCA HUAYNA-CAPAC
VI. TAVOLA CRONOLOGICA DEI RE DI QUITO
VII. [ERRONEAMENTE VI NEL TESTO] IDEE RELIGIOSE DEI PERUVIANI E DEI QUITOS PRIMA E DURANTE IL DOMINIO INCA
VIII. TEMPLI, IDOLI E SACRIFICI PRIMA E DOPO LA CONQUISTA DI HUAYNA-CAPAC
IX. DIVISIONE DELL'ANNO PERUVIANO E SUE FESTE DIVERSE
X. FORMA DI REGGIMENTO
XI. SISTEMA MILITARE
XII. DIVERSI STABILIMENTI DI HUAYNA-CAPAC - SPARTIMENTO DELLE TERRE
XIII. EDIFIZI PUBBLICI DI HUAYNA-CAPAC
XIV. DE' FIGLI DI HUAYNA-CAPAC - ULTIMI FATTI DEL SUO REGNO - SUA MORTE
XV. PRINCIPIO DEL REGNO DI ATAHUALPA - VERA CAUSA DELLE SUE GUERRE CONTRO IL FRATELLO
XVI. GUERRA CIVILE FRA I DUE FRATELLI INCA ATAHUALPA E HUASCAR
XVII. HUASCAR INCA FATTO PRIGIONIERO. - ATAHUALPA PROCLAMATO IMPERATORE DEL PERU'
XVIII. GLI SPAGNUOLI ENTRANO NEL PERU'. - OFFRONO AD ATAHUALPA DI AIUTARLO A COMBATTERE IL FRATELLA HUASCAR
XIX. PIZARRO SI VOLGE A CAXAMARCA CON PROPOSITO D'IMPADRONIRSI DELL'INCA ATAHUALPA
XX. ATAHUALPA FATTO PRIGIONIERO. RISCATTO CHE PROMETTE A PIZARRO PER RICUPERAR LA LIBERTA'
XXI. L'INCA PAGA IL RISCATTO. MORTE DI HUASCAR-INCA. - IL GENERAL CALICUCHIMA E' BRUCIATO VIVO. - ATAHUALPA E' CONDANNATO A MORTE
XXII. PIZARRO FA INCORONARE DUE INCA. - PRENDE POSSESSO DI CUZCO. - IL GENERAL PERUVIANO QUIZQUIZ TENTA DIFENDER L'IMPERO
XXIII. GLI SPAGNUOLI INCOMINCIANO LA CONQUISTA DEL REAME DI QUITO. - STATO MISERABILE DI QUEL REGNO SOTTO LA TIRANNIDE DI RUMINAHUI
XXIV. IL CAPITANO SEBASTIANO DI BELALCAZAR SPEDITO ALLA CONQUISTA DEL REAME DI QUITO
XXV. BELALCAZAR S'IMPADRONISCE DELLA PROVINCIA DI PURUHA E FA LA SUA PRIMA ENTRATA IN QUITO. DISTRUTTA DI RUMINAHUI
XXVI.RIUNIONE A RIO-BAMBA DEI TRE CAPITANI SEBASTIANO DI BELALCAZAR, DIEGO DI ALMAGRO E PEDRO DI ALVARADO
XXVII. RITORNO D' ALMAGRO E D' ALVARADO. ULTIMI FATTI DEL GENERAL QUIZQUIZ E SUA SCIAGURATA MORTE
XXVIII. INGRESSO SOLENNE DEL CAPITANO SEBASTIANO DI BELALCAZAR NELLA CITTA' DI QUITO. PROGETTA NUOVE IMPRESE
XXIX. CONQUISTA DELLA PROVINCIA DI POPAYAN
XXX. RIVOLTA DI MANCO-CAPAC. - PRINCIPIO DELLE GUERRE CIVILI DEGLI SPAGNUOLI E LORO CONSEGUENZE PEL REAME DI QUITO
XXXI. VACA DI CASTRO E' MANDATO AL PERU' DALLA CORTE DI SPAGNA. - NUOVE CONQUISTE E FONDAZIONI DI BELACAZAR
XXXII. GONZALO PIZARRO GOVERNATORE DI QUITO, INTRAPRENDE UNA DISGRAZIATA INTRAPRESA
XXXIII. ARRIVO DI VACA DI CASTRO A POPAYAN. - MORTE DEL GOVERNATORE FRANCESCO PIZARRO. - PARTENZA DEL GONZALO PIZARRO PER QUITO
XXXIV. APPARECCHI DI GUERRA E RISULTATI DELLA BATTAGLIA DI CHAPAS TRA VACA DI CASTRO E DIEGO DI ALMAGRO
XXXV. NUOVE CONQUISTE E FONDAZIONI DI CITTA' NEI DUE GOVERNI DEL REAME DI QUITO
XXXVI. RIVOLTA GENERALE DI TUTTE LE PROVINCE PER VIA DEI NUOVI DECRETI REALI PROMULGATI DA BLASCO NUNEZ VELA PRIMO VICERE DEL PERU'
XXXVII. IL VICERE BLASCO NUNEZ RICUPERA LA LIBERTA'. - SI RECA A QUITO E POPAYAN. - SUA MORTE ALLA BATTAGLIA DI INA-QUITO
XXXVIII. MISSIONE DEL PRESIDENTE LA GASCA. - SUA CONDOTTA E SUOI APPARECCHI GUERRESCHI CONTRO GONZALO PIZARRO
XXXVIII. MISSIONE DEL PRESIDENTE LA GASCA. - SUA CONDOTTA E SUOI APPARECCHI GUERRESCHI CONTRO GONZALO PIZARRO
XXXIX. BATTAGLIA DI XAQUIXAHUENA E MORTE DI GONZALO PIZARRO. - PROVVEDIMENTI PRESI DAL LA GASCA
XXXIX. ALTRE DISPOSIZIONI DEL GOVERNO

La presunta casa natale di Juan de Velasco

Dalla "Raccolta di Viaggi dalla Scoperta del Nuovo Continente Fino A' Dì Nostri" (1840-1844), 15 volumi in 8vo a formare un’opera in 18 tomi, compilata da Francesco Costantino Marmocchi per la casa editrice Fratelli Giachetti di Prato -



da Cultura-Barocca

martedì 13 febbraio 2018

Un medico innovatore alla svolta del XIX secolo

Michele Francesco Buniva nacque a Pinerolo, il 15 maggio 1761, dall'architetto Giuseppe Gerolamo e da Felicita Testa.
Il B. si laureò in medicina a Torino il 7 marzo 1781 e attese quindi alla carriera universitaria sotto la guida di valenti maestri: dall'Anforni al P. Adami, al Penchienati, al Ranzone. La capitale subalpina stava assistendo a un vivace risveglio degli studi comparati di anatomia, di fisiologia e di patologia, ma anche alla diffusione (auspice il Brugnone) dei precetti della prima scuola veterinaria sorta in Europa, a Lione nel 1761. E appunto in questa direzione si volse la preparazione specialistica del B. con alcune ricerche sui "fenomeni vitali" degli animali domestici, soprattutto nello stato patologico, abbinata peraltro ad approfonditi studi di botanica. Una dissertazione De generatione hominum,verminum et plantarum (Torino 1788) gli valse, il 7 maggio 1788, l'aggregazione al Collegio della facoltà di medicina di Torino. A quel tempo il B., che aveva cominciato a lavorare come medico collegiato e a svolgere attività scientifica in collaborazione con il Brugnone per indagini particolari sul sangue degli animali infetti, sulla fisiologia e patologia dei pesci, nonché sull'individuazione di alcuni insetti nocivi al bestiame bovino, era già noto in Piemonte per aver importato dall'Inghilterra una "macchinetta inserviente alla filatura della seta" e per il vivo interesse con cui dal 1783 (da quando era stato nominato membro della Società agraria di Torino) seguiva l'andamento delle principali innovazioni nel campo della pratica agronomica.
Il 15 luglio 1789 egli veniva chiamato alla cattedra di mdicina e, l'anno dopo, anche a quella di chimica presso l'ospedale San Giovanni di Torino. Si era voluto così riconoscere i meriti dei suoi primi studi a larga base sperimentale, compiuti soprattutto in Francia, i suoi tentativi di immettere "un po' d'aria fresca" nei campi dell'arte medica e della chirurgia. A sua volta il sovrano, nel dare il consenso al passaggio del B. alla cattedra di medicina pratica, gli accordava, il 15 ag. 1791, una pensione annua di 150 lire. Del resto, il nome del B. era già largamente accreditato fuori degli Stati sabaudi: membro dal 1790 della Société Royale de Medicine di Parigi, dell'Accademia dei Georgofili e della Società agraria di Milano, annoverava al suo attivo parecchie ricerche di medicina veterinaria, di meccanica e di agronomia ma, soprattutto, un lavoro fondamentale, il Nomenclator linneanus Florae Pedemontanae , edito a Torino nel 1790.
Elaborato sulla scorta degli insegnamenti dell'illustre fisico e naturalista C. Allioni, di cui il B. era stato l'allievo prediletto, il Nomenclator si offrì anche come utile chiave per concordare la nomenclatura e la posizione sistematica delle specie indicate da Linneo con quelle indicate dall'Allioni: opera che si rendeva necessaria, oltreché per il numero nuovo di specie trovate dallo scienziato piemontese, anche per l'uso che questi fece di un sistema assai più semplificato rispetto a quello lineano, divenuto a sua volta "notissimo".
Altrettanto interessanti i suoi studi in quel periodo nel campo dell'ingegneria e dell'agronomia: a cominciare da L'arte di fare il verderame, ossia istruzione pratica intorno la fabbricazione di questo colore ad uso degli agricoltori piemontesi (Torino 1788), in cui egli rilevava l'utilità di produrre l'acetato rameico in Piemonte, sia per la presenza della materia prima in "abbondanti miniere d'ottimo rame", sia per la vasta possibilità d'impiego del prodotto in considerazione della larga diffusione della coltivazione della vite, rimasta in Piemonte la più legata alle vecchie pratiche contadine. L'interesse del B. per la diffusione delle tecniche più progredite nel campo della produzione si rispecchia anche in relazioni molto specialistiche, ricche di dati e di osservazioni di prima mano, intese a promuovere opere di bonifica e di trasformazione fondiaria, o ancora di valorizzazione della potenzialità di corsi d'acqua e di impianti di energia motrice, come nel Discorso sopra i mezzi co' quali i Francesi hanno cercato di diminuire i danni prodotti dall'inazione de' mulini ad acqua nel rigore dell'inverno del MDCCLXXXVIII-LXXXIX, scritto nell'ottobre 1789 e dedicato al conte Prospero Balbo, allora sindaco di Torino. Michele Francesco Buniva vi sosteneva, a conclusione di un esame minuto dei vari tipi di mulini operanti in Europa, la necessità di procedere allo scavo di altre rogge nelle campagne, per aumentare il numero dei mulini ad acqua al posto di quelli a vento, ormai cadenti e non bastevoli al bisogno. Ma tutta la relazione si raccomanda anche per la vivace descrizione delle disastrose conseguenze economiche nelle campagne europee del terribile inverno del 1788-89 con il loro seguito di pestilenze, di carestie e di tensioni sociali.
Dal 1792, quando si riversarono sull'agricoltura piemontese gli effetti rovinosi della guerra contro la Francia, il B. diede mostra di un'instancabile attività e di un impegno solerte e fecondo. In un periodo in cui la penuria di generi alimentari e le esigenze dell'esercito non tardarono a far salire la domanda di grano e di altre derrate a prezzi esorbitanti, con relativa speculazione di fornitori e di proprietari agricoli poco scrupolosi, si oppose energicamente all'abbattimento indiscriminato delle selve e a ogni falsificazione delle farine e dei commestibili, sollecitando piuttosto il prosciugamento di alcune regioni paludose del Piemonte e l'adozione di misure appropriate contro le malattie del bestiame e il diffondersi del contagio. Il conflitto con la Francia conclusosi nel maggio 1796 lasciava dietro di sé - osservava il B. in un opuscolo del 1797, Istruzioni riguardanti la morva, ossia il ciamorro,e l'idrofobia -, complice il passaggio dell'esercito austriaco, uno strascico di infezioni e di morbi epizootici quali il Piemonte non conosceva più da mezzo secolo. Estremamente gravi si presentavano, in particolare, i vuoti aperti dalla epizoozia bosungarica nel patrimonio bovino, per il cui risanamento egli dettava in quello stesso anno una Memoria intorno alle provvidenze contro la corrente epizoozia nelle bovine con l'aggiunta delle memorie del grande Albert Haller sul contagio del bestiame, destinata ai "parroci, agli agronomi e ai medici" perché la diffondessero fra i contadini "a guisa d'istruzione a vantaggio dello Stato".
Come appare anche da questa dedica, che risente delle aspirazioni democratiche di istruzione pubblica, il Buniva nel frattempo si era accostato ai gruppi giacobini piemontesi. Di fatto, dopo la rinuncia al trono di Carlo Emanuele IV e l'insediamento nel dicembre 1798 di un governo provvisorio repubblicano, egli, iscritto alla loggia massonica pinerolese, diveniva uno degli esponenti politici più in vista del nuovo regime politico. Chiamato il 18 gennaio 1799 alla cattedra di patologia e anche all'incarico di igiene e medicina legale, istituito per la prima volta in Piemonte, veniva nominato in quella stessa circostanza presidente del giurì di medicina e membro del consiglio dell'Accademia universitaria di Torino. Due mesi dopo, in seguito alla vittoriosa offensiva delle truppe austro-russe del Suvarov, doveva tuttavia riparare in Francia, per sfuggire alle rappresaglie del restaurato governo sabaudo. Stabilitosi a Lione, lavorò a quella scuola veterinaria e all'Hôtel-Dieu con il naturalista Gilbert e altri scienziati francesi, dal Vauquelin al Bredin, prima di passare all'istituto di medicina veterinaria di Alfort e quindi a Parigi, donde nei primi mesi del 1800, munito delle credenziali del più famoso veterinario d'Europa, l'Huzard, raggiunse Londra per assistere alle prime esperienze di inoculazione del vaccino scoperto da Jenner contro il vaiolo. Ritornato in Piemonte dopo Marengo, il B. s'impegnò a debellare definitivamente le ultime tracce dell'epizoozia nelle campagne locali e mobilitare altre ingenti risorse nella lotta contro il flagello del vaiolo.
Certo, la Commissione del vaccino da lui diretta non ebbe sempre vita facile: il De Rolandis parla di "molte polemiche e strane contrarietà" e lo stesso B. si rammaricò più volte dell'incredulità dei "sapienti" e del misoneismo delle autorità municipali o della popolazione contadina. Ma già alla fine del 1807 più di centomila fra bambini e adulti erano stati vaccinati secondo la citata tecnica di Edward Jenner e non in base a quella, rivelatasi presto pericolosa, del medico Giovammaria Bicetti De' Buttinoni che pure ebbe l'elogio del Parini nell'ode del 1765 L'innesto del vaiolo = e, grazie alla volontaria e gratuita collaborazione di medici e di filantropi, una vasta rete di centri di controllo e di intervento era stata messa su, oltre che a Torino (dove il primo comitato per il vaccino era stato organizzato nel 1803 presso l'ospedale della maternità in collegamento con un analogo comitato di Londra), anche nei mandamenti periferici e nei circondari di Pinerolo e di Susa. Ancora nel 1808 troviamo il B. impegnato a dirigere a Pinerolo i soccorsi e i provvedimenti necessari a dare asilo alle famiglie colpite dal terremoto che desolò in quell'anno alcune vallate piemontesi (Terremoto di Pinerolo del 1808 - digitalizzazione integrale de Rapport sur le tremblement de Terre qui commencé le 2 Avril 1808 dans les Valles de Pélis, de cluson, de Po, etc... par A. M. Vassalli - Eandi). Diramò il B. - osserva a sua volta il Tegas - "istruzioni atte a diminuire il novero degli individui affetti da cretinismo; perorò per ottenere lo stabilimento di ricoveri per i dementi [...]; fece adottare provvedimenti per porre un freno alla diffusione della sifilide; diede consigli intorno all'igiene della famiglia [...]; propose la costruzione di varie fontane a Torino per le acque potabili; a lui si devono i bagni pubblici e quelli di acque minerali artificiali; le sue scrupolose indagini dirette a conservare la salute a tutto si estesero, nulla dimenticarono: l'aceto, la birra, i macelli, i granai, i cereali con i loro nocivi insetti e con le loro falsificazioni e miscele; i mulini, le farine, i forni furono oggetto dei suoi strali, le carceri, gli edifici urbani e rurali, il ghetto e gli ospedali...". Anche lo studio dei mezzi per rimediare ai malanni del carbonchio fra i bovini, all'insorgere della febbre gialla, all'estendersi della pellagra richiamarono le vigili cure del B., che dall'aprile 1801 aveva assunto la presidenza del Consiglio superiore civile e militare di sanità (destinato a sostituire in un unico organismo le preesistenti magistrature sanitarie) e le funzioni di ispettore generale della salute pubblica. Organizzò inoltre, nel 1802, un Consesso sanitario, cui fecero capo i più noti studiosi di fisica e di medicina piemontesi, chiamato a collaborare con il Consiglio di sanità nella discussione e nell'elaborazione delle varie misure preventive e terapeutiche nel campo della organizzazione medica e scientifica in Piemonte.
Il periodo che va dal giugno 1800 al settembre 1802, cioè all'annessione ufficiale della regione alla Francia, coincise del resto con una stagione, per quanto fragile ed effimera, di appassionato fervore riformistico in Piemonte, sull'onda di aspirazioni e speranze, non ancora deluse, di un nuovo ordine politico-sociale. Subito dopo Marengo il B. era stato chiamato a presiedere anche la Società agraria di Torino e aveva ripreso i suoi vecchi progetti di risanamento di varie plaghe paludose e cominciato a lavorare intorno a un migliore ordinamento delle risaie, ma anche alla salvaguardia del patrimonio boschivo, al rinnovamento di pascoli e case coloniche, all'ammodernamento dei sistemi di conduzione del patrimonio zootecnico. Al B. era stata conferita del resto, il 19 dic. 1800, la direzione della scuola veterinaria di Torino, ristabilita al Valentino, con il compito precipuo non solo di combattere gli ultimi residui della grande epizoozia abbattutasi in Piemonte durante la guerra delle Alpi, ma di fare della medicina veterinaria un corpo di norme e di discipline sistematico, elevato a dignità scientifica.
Ed è quanto egli si accinse a fare dettando nel 1802 un regolamento degli insegnamenti e delle pratiche sperimentali, sulla scorta dei modelli già invalsi a Lione e a Charenton, che sarebbero rimasti anche in seguito il cardine dell'attività dell'istituto (Lettera circolare concernente l'apertura della Scuola e del Collegio veterinario, Torino 1802). Grazie allo sviluppo della scuola del Valentino e all'adozione di efficaci provvedimenti profilattici e curativi sarà possibile d'altra parte liquidare in soli tre mesi, tra l'agosto e il settembre 1807, la ripresa delle infezioni epizootiche nelle campagne piemontesi.
Come altri botanici del tempo, G. Passerini, C. Passerini, C. Rondoni ecc., il B. occupandosi di agraria, finì coll'occuparsi anche di parassitologia agraria che è essenzialmente entomologia - per cui lasciò una serie di memorie - e principalmente "Dissertations sur les insectes qui ravagent la récolte des blés", che sono un utile contributo alla conoscenza di alcune specie di insetti.
Il B. si preoccupò anche di studiare e di coordinare tutte le iniziative private intese a valorizzare la produzione agricola piemontese con un fattivo appoggio dall'alto. Allo sviluppo della Società agraria di Torino contribuì da posizioni di primo piano sia durante il suo mandato annuale alla presidenza del consesso, dalluglio 1800, sia con la creazione, nel 1802, di una rete di servizi per lo studio sistematico delle condizioni climatiche, del regime del suolo e delle acque e della topografia medica nelle varie province piemontesi e la fondazione (nel 1809) del primo Museo georgico; quando cioè la Società agraria fu chiamata dalle autorità napoleoniche non solo a risolvere la disperata situazione annonaria e altri gravi problemi d'emergenza lasciati dalla guerra (devastazione delle campagne, requisizione delle granaglie, fallanze nei raccolti, penuria di generi di prima necessità, ecc.), ma a ricostruire pure le basi dell'economia agricola locale e a ricercare, con l'inasprirsi della guerra con l'Inghilterra e il blocco continentale, nuove fonti di rifornimento e di sussistenza: a sperimentare la coltura del cotone (quantunque non senza molte riserve da parte del B. e di altri agronomi piemontesi), della colza e di altre piante succedanee, della barbabietola da zucchero, della meliga quarantina, del grano d'Egitto, ecc., o a tentare l'acclimatazione in Piemonte di generi coloniali, di sostanze coloranti e di piante industriali. Problemi questi - insieme alla lavorazione dei bozzoli, alla coltura dell'indaco, all'importazione di pecore di razza pregiata, alla filatura della seta e alla creazione di fabbriche di birra e di porcellana - su cui il B. interverrà puntualmente nel corso di quegli anni con memorie, giudizi e progetti particolari. Non si trattò, beninteso, di iniziative destinate tutte al successo: tuttavia, insieme ad alcuni discreti risultati, fu possibile porre per la prima volta sul tappeto la questione pregiudiziale di un più stretto collegamento fra risorse agrarie e attività manufatturiere e di un miglioramento più generale delle tecniche di produzione e dei metodi di allevamento, di irrigazione e di disinfestazione sistematica delle colture. D'altra parte, dopo l'annessione del Piemonte il B. fu uno dei principali fautori non solo di un rinnovamento "alla francese" delle strutture agrarie e produttive locali, ma anche di più stretti legami economico-commerciali con i territori transalpini, partecipando fra l'altro ai lavori della Société centrale d'agricolture di Parigi e di quella del dipartimento del Rodano. È vero che le concezioni fatte valere dal B. risentivano, per tanti versi, di certe linee di orientamento tradizionali e contribuirono pure ad accantonare le aspirazioni, ancora presenti qualche anno prima in coincidenza con l'avvento della Repubblica cisalpina, verso la creazione di un mercato unico nella pianura padana con Milano, Genova e Piacenza, oltre le frontiere del Po e del Ticino. Ma è anche vero che egli non mancava di cogliere comunque alcune novità sostanziali emerse con la dominazione napoleonica, nella rottura dei vecchi diaframmi che isolavano il Piemonte dall'Europa, nella dislocazione e nel rafforzamento degli scambi entro una più vasta area di relazioni commerciali a livello continentale, ora consentiti da più intense correnti di traffico e dalla costruzione e dal riassetto dei grandi valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.
Il progressivo processo di vassallaggio e di subordinazione dell'economia piemontese alle esigenze dell'esercito francese e agli interessi mercantili e finanziari di Lione e di altri centri della valle del Rodano spinsero talvolta il B. a difendere i relativi margini di autonomia lasciati agli amministratori piemontesi. Ma il suo zelo attivistico e la serena fiducia nei benefici del nuovo corso e nelle funzioni progressive della cultura militante e della scienza (onde egli auspicava fra l'altro, nel 1805, lo sviluppo di opere di pubblica utilità e la creazione di ospedali statali "necessari alla classe indigente" e si impegnava egli stesso, oltre che nella direzione dell'ospedale S. Giovanni, nella commissione provinciale delle carceri e in altri enti di assistenza e amministrazione) finirono per far spesso da velo ad una più precisa consapevolezza del momento politico e della definitiva involuzione del governo francese. Membro del Consiglio generale del dipartimento del Po e titolare di varie altre cariche pubbliche, il B. continuò così ad attendere con spirito illuministico, di "ardent ami de l'humanité" (per dirla con il Bredin), all'opera di rinnovamento dell'attività scientifica, alla lotta contro le epidemie e alla creazione di nuovi istituti culturali e di ricerca. Dal 1802 era stato chiamato a far parte pure dell'Accademia delle Scienze di Torino, di cui incrementava il patrimonio bibliografico; mentre aveva ripreso la sua attività universitaria e assunto l'incarico, dal gennaio 1801, di primario dell'Ospizio di maternità di Torino.
Troppo vasta è la serie dei lavori pubblicati dal B. su singoli temi di scienza medica (importanti, fra gli altri, quelli sulla peste bubbonica orientale), di botanica, di veterinaria, di agronomia, di statistica e di polizia sanitaria per poterli elencare tutti. Ricordiamo soltanto, accanto all'edizione del 1801 del Giornale fisico-medico, bollettino del Consiglio superiore di sanità, ricco di dati e di analisi puntuali sui progressi scientifici in Italia e all'estero, alcune opere più significative: dall'Aperçu sur l'état sanitaire du Piémont (Turin 1801) ai Moyens pour defendre la santé des armées en Italie dello stesso anno, all'Istruzione dettagliata intorno alla vaccina preceduta da un discorso storico sopra la sua utilità (Torino 1804), alla dissertazione Sur l'épidémie manifestée en Piémont (ibid. 1805), all'Instruction sur les épidémies catherrales (ibid. 1806), alla traduzione dell'opera del 1796 di F. A. Gilbert della scuola veterinaria di Alfort comparsa sotto il titolo di Istruzione intorno il vaiuolo pecorino con aggiunte del B. (già presentate alla Società d'agricoltura), comparsa a Torino nel 1810. In quello stesso anno, il 22 aprile, il B. aveva ricevuto la massima onorificenza istituita dal ministero degli Interni dell'Impero per la propagazione del vaccino.
Al momento della Restaurazione si guardò, più che alla onestà politica e intellettuale del B. e alle sue generose attività scientifiche, al suo passato di "repubblicano invasato" e di "massone del '99". Rimosso dalla presidenza del protomedicato e da altri incarichi pubblici, dall'insegnamento universitario e dal suo posto di medico collegiato, il B. venne radiato pure dall'Accademia delle Scienze e privato di ogni emolumento. Non per questo egli rinunciò a praticare, gratuitamente e senza il soccorso di altri mezzi se non quelli personali, la vaccinazione nelle campagne piemontesi e a divulgare la necessità della lotta contro il vaiolo, tanto da indurre Vittorio Emanuele I ad assegnargli perciò, il 6 luglio 1819, una modesta pensione annua. Il rientro del B. nel giro degli incarichi pubblici e della cultura accademica sarà tuttavia pervicacemente osteggiato dagli ambienti politici e da non pochi suoi colleghi, mentre censure esplicite o ipocritamente dissimulate finiranno per diradare anche le sue possibilità concrete d'intervento e di pubblicazione dei propri scritti. Di fatto, dopo le Réflexions sur tous les ouvrages publiés et inédits du docteur Charles Allioni (Turin 1817) - con cui il B. ritornava ad alcuni temi di storia della botanica dei suoi primi anni di ricerca, peraltro mai del tutto abbandonati, ma che riproducevano in sostanza una comunicazione già discussa nel 1910 all'Accademia delle Scienze di Torino e in cui riferiva anche intorno alle relazioni dell'A. con Linneo - non si trova più traccia di sue opere stampate fino all'anno 1831:tranne che per una Lettre du docteur Buniva à monsieur le docteur Coindet à Genève sur l'établissement balneo-sanitaire fondé par le docteur Paganini à Oleggio dans le Novarais (Turin 1823) .L'isolamento cui era stato condannato non impedì comunque al B. di tenersi aggiornato - attraverso un attivo commercio epistolare e grazie alla sua appartenenza a numerosi consessi accademici (dalla Società fisica di Gottinga all'Institut Royal de France, che l'aveva voluto fra i suoi membri nel 1818) - dei progressi scientifici e culturali nei campi dell'agronomia, della botanica e della scienza medica. Del 1831è la sua ultima opera di rilievo, il Trattato delle varie specie di Cholera-morbus con l'addizione di alcune altre memorie sullo stesso argomento, pubblicata a Torino.
Il B., nell'intento di aprire nuovi sbocchi alla ricerca sulle cause e sulla natura, ancora oscura, del terribile morbo ricomparso in Europa attraverso un lungo itinerario dalle regioni monsoniche asiatiche, tramite lo studio di epidemie analoghe, ma assai più conosciute, intendeva far valere, partendo da un raffronto anatomico fra gli uomini ed alcune specie di Mammiferi più comuni, la necessità di studi più estesi e approfonditi di patologia comparata.
Ancora negli ultimi anni egli aveva coltivato la speranza di riprendere il suo posto all'università e di essere riammesso all'Accademia delle Scienze; ma tre sue successive suppliche (del 20 febbr. 1820, del 5 dic. 1826e del 21nov. 1829)erano rimaste senza risposta, sebbene fossero intervenuti in suo favore anche esponenti delle gerarchie ecclesiastiche e Prospero Balbo. Da qualche tempo aveva ripreso con la moglie Niccolina Dolce (vedova del chimico Frico, da lui sposata nel 1809)a prodigarsi nell'opera di proselitismo in favore della diffusione del vaccino e aveva voluto venire incontro alle istanze di Gerolamo Marzorati, direttore della Pia unione dei lavoranti dell'arte tipografica di Torino, accettando nel 1821 la consulenza medica dell'associazione e l'incarico di compilare, quattro anni dopo, alcune norme essenziali per prevenire le malattie più comuni tra gli stampatori e il miglioramento delle loro condizioni igieniche e ambientali di lavoro. Ma aveva voluto intervenire ancora nella discussione in favore della litotripsia quando simili operazioni avevano appena cominciato ad affacciarsi nella chirurgia pratica degli ospedali torinesi e interessarsi, inoltre, della situazione delle concerie, della valorizzazione delle acque minerali di San Genesio, della diffusione dei bagni pubblici e di numerosi problemi di igiene cittadina, piuttosto che - come egli scriveva il 21 nov. 1829 - "ritirarsi in solitudine georgica o occupare impieghi fuori Patria". Gli ultimi riconoscimenti della sua opera di scienziato erano venuti dall'estero: dall'Accademia dei Lincei di Roma, che l'aveva nominato suo corrispondente nel 1833 e dall'Institut historique di Parigi, che l'aveva eletto fra i suoi primi soci pochi giorni prima della morte del B. avvenuta a Piscina, presso Pinerolo, il 26 ott. 1834. 

da Cultura-Barocca

martedì 6 febbraio 2018

Aleramici, Arduinici, Obertenghi

Sottomissione di Berengario d'Ivrea all'imperatore Ottone I. Manuscriptum Mediolanense, circa anno 1200 - Fonte: Wikipedia
Nel contesto delle trasformazioni di epoca medievale, susseguenti al ruolo di primo piano assunto dai Franchi, soprattutto nel periodo di splendore delle dinastie dei MEROVINGI e quindi dei CAROLINGI, non si può trascurare la citazione dello sviluppo amministrativo, socio-politico e giurisdizionale del territorio francese prima e successivamente imperiale.
L'essenza delle evoluzioni, che in Europa occidentali segnarono davvero la fine della civiltà antica ed aprirono il pieno passaggio verso la grande epoca feudale, è comunque da collegare al fiorire della dinastia francese dei CAPETINGI che fu alla radice di grandi trasformazioni socio-amministrative che coinvolsero anche l'ITALIA.
Per il nord-ovest della penisola italiana risultò comunque già particolarmente rilevante la riorganizzazione amministrativa in tre grandi MARCHE del territorio ligure e pedemontano, precisamente l'ARDUINICA, l'ALERAMICA e l'OBERTENGA, venutesi a sviluppare per IDEAZIONE DEL RE D'ITALIA BERENGARIO II e nel contesto di una progettazione eminentemente militare e di fini antisaraceni.

Berengario II, Marchese d'Ivrea, figlio di Adalberto d'Ivrea, fu nipote di BERENGARIO I, ed apparteneva ad una delle potenti casate delle quali Ugo re d'Italia aveva sancito la fine violenta per ristabilire il potere centrale della monarchia nel territorio della penisola. Quando Ugo impegnò il massimo delle sue forze contro le famiglie italiche ostili al rafforzamento dell'istituzione regia, Berengario, che era stato esiliato in Germania, venne richiamato in patria dai nemici del re: quest'ultimo, rimasto imprevedibilmente senza alcun appoggio politico (e militare) in Italia, si rifugiò in Provenza abdicando a favore del figlio Lotario nel 945.
Berengario, re di fatto, lo divenne pure di diritto, in compagnia del figlio Adalberto allorché Lotario morì nell'anno 950. Progettando un consolidamento del suo potere, Berengario imprigionò Adelaide, vedova di Lotario, e si trovò quindi a rivestire il titolo di re senza rivali, seppur nel periodo di estrema debolezza istituzionale dello Stato in Italia, vista in particolare la gravissima e irreversibile crisi degli ordinamenti carolingi: anche per queste ragioni e ridare un nuovo assetto, oltre che un equilibrio politico all'Italia feudale, Berengario ideò una sua ristrutturazione in Marche, da cui non restò esclusa la Liguria, innestata col Piemonte nel vasto, e spesso amorfo, complesso geopolitico dell'Italia nord- occidentale.
Aspirando alla corona d'Italia e quella imperiale, Ottone I di Germania scese però in Italia a sconvolgere tutti i piani di Berengario (ormai re Berengario II). e si unì in matrimonio ad Adelaide che nel contempo era fuggita dal carcere grazie all'aiuto di Adalberto Atto di Canossa: forte dell' appoggio di una vasta serie di casate feudali e dei diritti acquisiti per via di tale matrimonio politico Ottone I fu in grado di trasformare Berengario II in un suo vassallo nell'anno 952.
Con la seconda discesa in Italia, avvenuta nel 961, Ottone I divenne imperatore (962) ed immediatamente intraprese una dura guerra contro Berengario II, guerra che si concluse solo dopo la resa della rocca di San Leo nel Montefeltro (963), dove Berengario si era rifugiato con le sue forze: l'ex re d'Italia fu quindi inviato prigioniero in Germania con la moglie dove, pochi anni dopo morì, precisamente a Bamberga nel 966. 

Berengario I re d'Italia ed imperatore: già marchese del Friuli, fu uno dei grandi feudatari, italici e transalpini, che si scontrarono alla conclusione del periodo carolingio per acquisire sia la corona d'Italia che quella imperiale. L'incertezza politica e la fragilità estrema delle istituzioni dell'epoca obbligarono Berengario, divenuto re d'Italia nell' 888, a dividere il governo dello Stato con Guido di Spoleto e poi con il figlio di quest'ultimo Lamberto. In pratica il territorio della penisola venne diviso e a Berengario, per quanto legittimo sovrano, spettò soltanto il controllo della porzione nord-orientale d'Italia. Alla morte di Guido (894) e quindi di Lamberto (898) Berengario divenne re unico d'Italia e nel 915 assunse anche la dignità imperiale. Berengario partecipò sempre in prima persona alla politica italica e soprattutto impegnò tutte le proprie energie per la sopravvivenza del vacillante potere regio sistematicamente messo in crisi da un inarrestabile processo disgregante delle sue stesse basi istituzionali. In questo tempo si andava verificando una lenta ma costante decadenza dei conti, che in fondo garantivano l'ossatura portante di questo genere di Stato feudale, e di converso si andava affermando vieppiù il potere temporale, oltre che spirituale, dei vescovi. A costoro Berengario I si trovò obbligato a concedere varie prerogative pubbliche, soprattutto in dipendenza delle pesantissime devastazioni ungariche (899): in relazione a ciò venne indebolito l'assetto della pubblica amministrazione, compresa l'autorità regale stessa, e l'ordinamento statale carolingio accelerò la sua già intrapresa decadenza istituzionale. Nel 923 Berengario patì una pesante sconfitta militare, ad opera del potente Rodolfo di Borgogna, a Fiorenzuola d'Arda, nel Piacentino, che fu una delle più sanguinose battaglie dell'epoca. Dopo solo un anno il re morì assassinato a Verona per opera di una congiura locale ordita da un funzionario minore e in qualche modo la sua morte divenne il simbolo del sopravvento delle forze disgregatrici del particolarismo postcarolingio a scapito della stessa istituzione monarchica.

ALERAMICI: famiglia nobiliare che amministrò una delle quattro parti in cui, verso metà del sec. X, era stata suddivisa la grande marca d'Ivrea formatasi a fine secolo IX nel Piemonte e governata dagli Anscarici.
Gia prima del trionfo dell'imperatore Ottone I sul marchese d'Ivrea e re d'Italia Berengario II (963) Aleramo, il capostipite degli Aleramici, è indicato quale marchese in un atto che fu steso verisimilmente tra il 958 ed il 961.
La famiglia aveva posto le sue basi nel territorio del Monferrato, sino ad Acqui ed a Savona, alterando la struttura dell'antica marca eporediese, in forza anche di conquiste ed integrazioni territoriali.
Dopo la morte nel 991 di Aleramo , la marca venne divisa fra i suoi eredi e figli Anselmo, che ottenne il territorio di Savona, e Oddone, cui spettò il Monferrato.
Nei secoli XI e XII la marca aleramica si frazionò ulteriormente in vari distretti controllati da altrettante famiglie discendenti dal ceppo originario, conseguentemente al fenomeno di dissoluzione dei grandi gruppi parentali, alla distribuzione delle cariche ai soli discendenti maschili ed al loro radicamento ad ambiti circoscritti, provinciali e subprovinciali.
Siffatti distretti ebbero vita lunga nelle mani dei discendenti degli Aleramici.
Si possono rammentare tra i distretti di principale rilievo Savona, Saluzzo, il Monferrato, dove nel 1305 subentrarono i Paleologi nella persona di Andronico al quale il marchesato era giunto attraverso la moglie Violante, sorella di Giovanni I, ultimo aleramico maschio monferrino.

ARDUINICI: si trattò di una grande casata di rango comitale e marchionale attiva in Piemonte nei secoli X e XI.
Propriamente essi si affermarono come "uomini nuovi" rispetto alla vecchia feudalità ma, grazie a capacità non comuni di iniziativa politica e di diplomazia, rapidamente divennero titolari di una delle quattro grandi compagini politiche nate dalla frantumazione della vasta ed antica marca d'Ivrea.
Giunti in Italia all'inizio del sec. X gli Arduinici si posero al servizio di Rodolfo, conte di Auriate, un comitato posto, secondo l'interpretazione degli storici, nella fascia meridionale della diocesi di Torino.
Rogerio e Arduino raggiunsero presto la titolatura vassalli di Rodolfo e gli ARDUINICI crebbero in potenza sveltamente sino al punto che Rogerio succedette a Rodolfo nella carica, sposandone la vedova, da cui gli nacquero due figli, Rogerio II, che diede in moglie la figlia Guntilda ad Amedeo, figlio di Anscario II d'Ivrea, e Arduino il Glabro, che risulta menzionato nel 964 come marchese, ed il cui figlio, Manfredo sposò una figlia del capostipite dei Canossa, Adalberto Atto, da cui ebbe una figlia che diede i natali ad Arduino re d'Italia.
Gli Arduinici ebbero così successo in una celere scalata ai massimi vertici della nuova e potente feudalità italica del "secolo di ferro": dopo il comitato ottennero infatti una marca (o marchesato) e si imparentarono gradualmente con tutte le piu importanti casate del loro tempo.
Vari elementi concorsero alla rapida ascesa di questa nuova e vigorosa feudalità: senza dubbio vi concorsero il valore militare e la spregiudicatezza economica che le era unanimemente riconosciuta ma un peso non indifferente nel suo fortunato progredire ebbe anche la grave crisi del potere centrale.
Il centro pulsante della loro marca era costituito dai comitati di Auriate e Torino ma a questi via via si unirono altre basi di indubbio prestigio, come i comitati di Alba, Albenga, Asti, Ventimiglia.
Nel territorio di Asti il potere della Casata fu invece in qualche modo frenato dalla giurisdizione che il potente vescovo locale aveva, sulla città e sull'area suburbana, per due miglia destinate a diventare poi quattro in funzione di una concessione imperiale del 1041.
Con Olderico Manfredo (morto nel 1034) la Casa marchionale prese possesso dell'importante base di Ivrea (1015).
Successivamente la marca pervenne a sua figlia Adelaide (destinata ad acquisire importanza in Liguria occidentale per varie donazioni che fece alla Chiesa), che in terze nozze sposò Oddone di Savoia: ad Adelaide non sopravvissero però figli maschi sì che alla sua morte, avvenuta nel 1091, i possedimenti arduinici si frammentarono in varie strutture di matrice feudale.

OBERTENGHI: sono chiamati in tale modo i discendenti da un Oberto, vissuto nel secolo X, dapprima conte di Luni, poi investito da Berengario II, probabilmente nel 951, della marca della Liguria orientale comprendente i comitati di Genova, di Tortona, di Bobbio, di Luni e, forse, anche quello di Milano. Questo Oberto discendeva da Suppone, duca di Spoleto e conte palatino e, dal817, conte di Brescia. Fu dapprima seguace di Berengario II ma se ne staccò per accostarsi a Ottone I, che, sceso in Italia, lo reinvestì della marca. Ebbe parecchi figli, fra cui Adalberto e Oberto II.
Quest'ultimo diede i natali a Ugo, Alberto Azzo e Oberto Obizzo I che parteciparono col padre alle lotte arduiniche contro Enrico II.
Sconfitto Arduino, furono condotti prigionieri in Germania, ma riuscirono a fuggire e a ristabilire il loro dominio.Sotto i loro discendenti il casato si frazionò sempre più in vari rami, alcuni dei quali ebbero nella storia un posto di rilievo.
Per esempio i discendenti di Oberto Obizzo I diedero origine ai Malaspina mentre quelli di Alberto Azzo agli Estensi.
Da Adalberto I, figlio di Oberto I, discesero invece i Pallavicino, i Cavalcabò, i marchesi di Massa-Parodi, di Massa-Corsica, di Gavi. 
La COMPAGNA fu un'associazione medievale genovese sorta tra fine XI sec. e primi del XII in seguito alla scomparsa della Marca Obertenga.
A prescindere dalla peculiarità dell'essere fenomeno tipico di Genova la COMPAGNA è espressione tipica dell'associazionismo medievale, mezzo idoneo a difendere le comunità dei liberi dall'oppressione feudale.
Gli statuti della Compagna son posteriori al 1100 ed i principali si datano del 1157.
La Compagna era un'associazione volontaria e giurata cui facevano parte tutti gli uomini dai 16 ai 70 anni e la capeggiavano 8 consoli.

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